Il Partito Diviso
C’erano una volta il Pci e la Dc. Erano due partiti duramente contrapposti. Il Pci predicava la lotta di classe, la Dc era interclassista. Il Pci chiamava padroni e sfruttatori tutti gli imprenditori, la Dc sosteneva che molti imprenditori producevano ricchezza per il paese. Erede della tradizione marxista e gramsciana, il Pci riteneva di possedere la verità e di essere l’interprete privilegiato del senso della storia. Sulla scorta della dottrina sociale della Chiesa anche la Dc si sentiva sul sentiero della verità, ma prudentemente era consapevole che gli uomini sono peccatori e che non fosse il caso di assolutizzare questa o quella soluzione politica. A partire da tali convincimenti lo scontro tra le due forze cominciò nel 1948 e durò fino alla metà degli anni settanta del ‘900.
Poi cominciò una riflessione intorno al nucleo valoriale che univa, più che dividere, i due partiti: la tensione verso l’uguaglianza propria del Pci e l’accento sulla solidarietà sociale tipico della Dc. In più ci fu la consapevolezza che i nemici collocati sulle ali estreme (il terrorismo interno degli anni settanta, il Cile di Pinochet) suggerissero di provare ad incontrarsi con spirito diverso. Aldo Moro con le convergenze parallele ed Enrico Berlinguer con la strategia del compromesso storico furono gli interpreti più autorevoli di quella stagione. Ma i due leader finirono come sappiamo. Moro fu ucciso dalle Br, probabilmente manovrate da altri poteri forti; Berlinguer morì sul campo, stroncato dalla sensazione di aver perso quella battaglia.
Bisognerà superare la metà degli anni novanta affinché, con Romano Prodi e l’Ulivo, le due tradizioni tornassero a riconciliarsi e a convergere in un unico soggetto. Ma D’Alema, che ne era stato mallevadore, d’accordo con Cossiga e Bertinotti, diede una prima picconata a quell’intesa.
Nel frattempo avveniva l’evoluzione degli eredi del Pci e della Dc: Pds (Rifondazione comunista) e Ds dopo il Pci, Partito Popolare (con scissione alle ali del Movimento Cristiano-Sociali e del Centro Cristiano Democratico) e Margherita dopo la Dc.
In avvio del nuovo millennio, dopo cinque anni di dibattiti serrati e grazie all’impegno di Veltroni, Fassino e Prodi, si ebbe la fusione di Ds e Margherita nel nuovo Partito Democratico. E qui comincia una storia curiosa. Il Pd marcia relativamente unito fino alla segreteria Bersani. Si pretende e ottiene il rispetto di alcuni principi del vecchio Pci: 1) il valore partito (l’unità prima di tutto), la fedeltà alla leadership, il criterio di anticipazione e innovazione (è il partito che sa sempre interpretare le nuove necessità del popolo). Con la segreteria Renzi nessuno rispetta più questi principi. Renzi prova ad innovare sul Senato, la legge elettorale, il Jobs Act, la Scuola, la Pubblica Amministrazione, ma perde il referendum del 4 dicembre 2016. Nessuno considera che la sconfitta è figlia della convergenza di quattro forze ostili e diverse (Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia, Movimento 5 Stelle), cui si unisce una pattuglia di sinistra del Pd e qualche “vecchia gloria” (CGIL e ANPI). Indubbiamente nella sconfitta Renzi ci mette del suo, ma la palude parlamentare e politica che segue al Referendum è migliore del disegno renziano? Gli odierni scissionisti del Pd, più che farsi carico di una strategia che rimetta in sesto l’economia italiana e ridia solide basi a occupazione e welfare, sembrano tornare sulla vecchia linea contestatrice di chi grida no a tutto e pretende sempre di più. C’è qualcuno che crede davvero che D’Alema e Bersani rappresentino il nuovo che avanza?
ROBERTO SEGATORI