L’altare di San Bartolomeo in San Domenico a Foligno: la ricostruzione di una complessa vicenda decorativa
L’analisi di un’opera d’arte comporta spesso la necessità di incrociare dati documentari con informazioni di diversa tipologia, al fine di ricostruire il contesto in cui l’opera stessa si inserisce come parte integrante. È questo il caso di due affreschi frammentari conservati nella Pinacoteca di Palazzo Trinci, che raffigurano i busti di due santi. Il primo, ritratto con un abito di pelli d’animale in parte coperto
da un manto rosso, è Giovanni Battista, l’altro invece va identificato con Bartolomeo, come si ricava dal dettaglio iconografico del coltello, legato alle vicende del suo martirio: Bartolomeo infatti, fu scorticato vivo prima di essere crocifisso per non aver rinnegato la sua fede in Cristo (figg. 1 e 2)
La documentazione d’archivio attesta che i due riquadri furono staccati nel 1863 dal’ex chiesa di San Domenico, ad opera dello scultore folignate Ottaviano Ottaviani e del camerte Tito Buccolini, professore di disegno nelle scuole tecniche di Foligno.
Entrando nell’ex chiesa di San Domenico, oggi adibita ad auditorium, è possibile individuare con esattezza il luogo da cui furono staccati i frammenti raffiguranti i busti dei due santi, ricostruendo una sorta di grande puzzle decorativo: nel pilastro destro (definito a cornu epistolae) dell’abside centrale dell’edificio si vede un affresco con i corpi di due santi, inquadrati all’interno di un’edicola architravata in finto marmo e ornata da candelabre; in corrispondenza dei volti e dei busti dei due personaggi si nota una vasta lacuna che corrisponde esattamente ai due affreschi oggi conservati nella Pinacoteca (fig. 3).
La collocazione originaria dei due frammenti corrisponde all’antico altare di San Bartolomeo, infatti Tommaso Duranti, nel manoscritto dei Ricordi del convento domenicano, specifica che questo altare si trovava “nel pilastro del coro, a mano manca” (ovvero a destra, osservando il presbiterio frontalmente). Quando scrive Duranti, nel 1754, questo altare era ornato da un “quadro” con l’immagine del titolare, che andò successivamente disperso. Sempre da Duranti apprendiamo che lo juspatronato della cappella di San Bartolomeo, con diritto di sepoltura, spettava nel 1555 alla famiglia dei Pannocchi e nel 1570 agli Scarmiglioni. Nel 1605 anche i diritti posseduti sull’altare dagli Scarmiglioni erano decaduti a favore di Severino Elmi, che vi fece realizzare dei lavori di ampliamento, mentre al tempo del Duranti l’altare era rientrato in uso al convento. Nella prosecuzione dei Ricordi ad opera dei frati domenicani, alla data 1857, si legge che il padre francese Giacinto Petitjean Mairend fece eseguire varie modifiche all’apparato decorativo della chiesa e che nell’altare di San Bartolomeo fu posizionata un’altra tela, anch’essa andata dispersa, raffigurante Sant’Agnese da Montepulciano.
Le notizie fornite da Duranti permettono di ricostruire come segue le diverse fasi decorative che interessarono l’altare di San Bartolomeo: inizialmente vi fu realizzato l’affresco raffigurante i Santi Giovanni Battista e Bartolomeo, eseguito da un pittore locale nei primi anni del Cinquecento. L’affresco fu poi coperto dal quadro che viene menzionato da Duranti, rappresentante il santo titolare dell’altare e infine, nel 1857, da un’altra tela. Nel 1863 si decise di staccare dalla parete soltanto i busti dei due santi ritratti nell’affresco, lasciando in situ il resto della pittura. La scelta appare ai nostri occhi quanto meno discutibile, perché oggi nessun restauratore procederebbe al distacco di singole porzioni di un affresco integro, ma occorre ricordare che l’intervento risale al XIX secolo; inoltre, l’ex chiesa di San Domenico fu la prima tra quelle folignati ad essere interessata dall’intervento di Ottaviani e Buccolini, finalizzato a selezionare una serie di affreschi destinati alla locale raccolta d’arte. Le operazioni dovettero svolgersi in un clima concitato, all’interno di un edificio che, dopo la definitiva sconsacrazione, dall’aprile del 1861 era stato trasformato in scuderia per l’esercito piemontese.
I due frammenti con i volti dei santi sono citati nel primo elenco manoscritto della Pinacoteca di Foligno, redatto il 10 maggio 1870, rispettivamente ai numeri 31 e 32, con un’attribuzione al “Mesastris”. L’affresco in realtà non può essere riferito a Pierantonio Mezzastris, in quanto presenta caratteri stilistici propri di una fase successiva della pittura locale, collocabile nei primi decenni del XVI secolo: tali elementi sono riconoscibili nelle fisionomie “peruginesche” dei volti dei santi e nel gusto classicheggiante dell’elaborata cornice ancora visibile sulla parete da cui sono stati staccati i riquadri. A mio parere l’autore può essere identificato con l’artista che nel 1523 datò un affresco nella chiesa di Sant’Agostino a Bevagna, e precisamente nell’altare centrale della parete a cornu evangelii. Il dipinto bevanate, anch’esso purtroppo frammentario a causa dell’apertura, in epoca imprecisata, di una nicchia al centro della superficie pittorica, raffigura la Madonna in trono col Bambino fra i santi Francesco d’Assisi, Caterina d’Alessandria, Antonio da Padova e una santa identificabile forse con Cristina (figg. 4-6). In quest’opera sono evidenti gli stilemi che caratterizzano i seguaci del Perugino, ma soprattutto si individuano strette analogie nella resa dei volti con i due santi provenienti dall’altare di San Bartolomeo a San Domenico di Foligno.
EMANUELA CECCONELLI