La movida e gli ovetti Kinder
Che sia un caso oppure no, la sede storica dell’Ente Giostra della Quintana si trova proprio all’inizio (o alla fine a seconda di dove venga collocato il punto di partenza) di quella via Gramsci che è divenuta centro della movida cittadina. Se in passato gli organizzatori della tenzone cavalleresca e dei serali bagordi settembrini si fregiavano di tener vivo prima per una, poi per due, ed infine per quattro settimane un centro storico diversamente triste e deserto, ormai il clima di festevolezza attraversa tutte le stagioni, da giugno a settembre e da ottobre a maggio, da domenica a domenica, senza distinzione tra un martedì grasso e un venerdì di quaresima. A pensarci l’idea è perfino ovvia: se è tanto bello ritrovarsi la sera insieme in taverna, anche solo per una bevuta, perché non farlo ogni giorno della settimana in ogni periodo dell’anno? È un po’ lo stesso ragionamento che deve aver condotto il signor Ferrero nel 1974 a ricoprire di cioccolata una scatolina di plastica a forma di uovo per moltiplicare la gioia infantile della sorpresa oltre i confini economicamente poco convenienti del mattino di Pasqua. Ed è, a pensarci, la stessa strategia della CocaCola che cerca in ogni modo di trasferirsi in pianta stabile nel frigo di casa e di trasformarsi in bevanda feriale, familiare, da bibita da bar o pizzeria che è stata un tempo.
Il chiasso di piazza don Minzoni, che si anima ogni sera all’ora dell’aperitivo, tranne in caso di pioggia (e chissà che a qualcuno non venga in mente di coprirla) è solo una manifestazione della globalizzazione del tempo, quel fenomeno reso possibile dalla tecnologia per cui si può consumare l’esperienza in ogni momento del giorno e della notte, acquistare un ebook la domenica alle cinque del mattino e leggerselo nel proprio reader, o decidere di vedere un’intera serie televisiva in streaming in una maratona di 24 ore, senza bisogno di attendere il giorno e l’ora della trasmissione. Fino alla prima metà del Novecento la pratica religiosa aveva fatto da punteggiatura al tempo e alle stagioni, indicando regole di misura ed astinenza che oggi fanno sorridere o addirittura vengono considerate prassi integraliste. Avevano una funzione sociale oltre che spirituale, ma perduta la seconda si è smarrita anche la prima. Non credo vi sia molto spazio per recuperarle, se non dentro esperienze protette, oasi nelle quali riprendere le forze dalla fatica di una lettura che non conosce virgole e punti e dove tutto scorre senza soluzione di continuità. La festa dava un significato al lavoro e alla fatica, non era vacanza (nel senso di mancanza) o divertimento (nel senso di volgersi altrove). La festa era premio e sintesi, sosta e ringraziamento. La logica del consumo e della “crescita”, che non ha credibili antidoti teorici, conduce però alla sua dilatazione. Più quintane. Più sagre. Più locali. Non so se tutto questo ci renderà più ricchi o più felici. Temo solo più smarriti.
VILLELMO BARTOLINI