“La guerra è come il terremoto” Il racconto di Asma
Asma ha 39 anni, occhi castagno e sguardo fiero. Viene da Aleppo, la Sarajevo del Duemila, da dove è fuggita con i suoi dodici figli. O meglio, otto più quattro, perché quando la seconda moglie del marito se ne è andata senza troppe spiegazioni, Asma ha deciso all’istante di adottarne la prole, senza pensare che la sua, di famiglia, fosse già troppo numerosa. “Ho fatto quello che dovevo ma Aleppo non era sicura. Ho venduto i nostri campi e siamo fuggiti. In Turchia ho ottenuto il via libera per Berlino, dove già era riuscito a rifugiarsi mio marito, ma solo per i miei figli naturali. Mi sono detta: O tutti o nessuno. Così ho cercato altre vie”.
Asma ha attraversato il mare, i figli tutti in braccio, il più piccolo di 3 anni, e ha visto il confine serrarsi davanti agli occhi. Ora abita ad Atene, in attesa di un nuovo responso, ospite della struttura di Neos Kosmos gestita dalla Caritas di Foligno. Già, perché nella struttura finiscono loro, quelli che non riescono a trovare spazio nel resto della società. Un carosello – quello del centro – di lingue, profumi e religioni; un piccolo segno in mezzo al diluvio di chi, per dirla con Bauman, vuole fare della paura un mercato.
Corre col dito sul Corano, Asma, al racconto del terremoto che ha toccato il centro Italia. “La guerra e il terremoto non sono così diversi, si portano via tutto – sembra dire toccandosi il cuore -: il tuo ruolo sociale, gli affetti, la casa. A me ha salvato l’ironia. Quando eravamo persi per mare cercavo sempre di far sorridere gli altri”.
Maria non è siriana ma il suo sguardo fiero ricorda la forza di Asma. La incontro per Foligno, contrariata dal giro esasperato di balocchi di cui è stata ricoperta la nipote. Brandisce una seggiolina, intagliata in legno, unico giocattolo della sua infanzia lontana. Un’arte, quella della falegnameria, che lo zio aveva appreso nei campi di concentramento e a cui aveva restituito Bellezza cesellandole quel piccolo gioco. “Avevo solo questo – mi dice – ma sono stata felice”. Penso a Rayen, 10 anni, uno dei dodici figli di Asma. “In Siria mi chiamavano «pinguino» perché gli somiglio per come cammino, mi aveva detto un giorno allungandomi un pinguino di peluche, il suo unico giocattolo. Devi tenerlo tu, devi portarlo in Italia”. Stringo forte il pupazzo, come la mia amica la sua seggiolina d’un tempo. Quel gioco è un simbolo che attraverserà la storia. Concordo anch’io con Bauman: “Le persone oggi hanno paura di avere paura, anche senza darsi una spiegazione”, ma questa spiegazione devono iniziare a darsela, per non mettere i profughi al posto della paura, e quella paura non iniziare mai a guardarla. Perché “questa paura che non spiega la sua sorgente è un ottimo capitale per coloro che la vogliono utilizzare per motivi politici e commerciali.” E allora ci perderemmo la bellezza di Asma, Rayen e del suo pinguino.