Le Olimpiadi si tingono di bianco azzurro
“Sacrificio, dedizione e coraggio nell’affrontare i momenti difficili”: questa è la scherma per il giovanissimo Andrea Santarelli che alle prossime Olimpiadi di Rio de Janeiro sogna la medaglia d’oro. Peccato che l’Università di Perugia non la veda così.
Andrea, 23 anni e già un campione iridato: quando è nata la tua passione per la scherma?
Non mi ricordo molto bene, ma intorno ai cinque, sei anni. Un mio cugino, di ritorno da un allenamento, ha riposto la spada nel bagagliaio dell’auto: mi sono incuriosito e ho chiesto ai miei genitori di provare.
Ti aspettavi una carriera così brillante?
Finché sei piccolo, tutto sembra il mondo delle favole: vedi i grandi che gareggiano alle Olimpiadi e queste diventano il tuo sogno. Poi, piano piano, cresci e diventano un obiettivo sempre più reale e concreto.
Tra tutte, c’è una vittoria che ricordi con maggior piacere?
La vittoria al Campionato italiano Cadetti, l’anno dopo la morte di Carlo Carnevali, è stata molto importante: ero in una crisi incredibile e mi ha fatto rialzare. Anche il sesto posto al Mondiale di Mosca di quest’anno, comunque, ha significato tanto per me: in una gara di qualifica olimpica, dopo il difficile passaggio dagli under 20 agli assoluti, dimostra che tra i grandi ci sono anche io.
Quali difficoltà hai incontrato per raggiungere un traguardo così importante?
Ci sono stati tanti momenti difficili, tutte le volte soprattutto che ho dovuto scegliere se fare ciò che sentivo giusto per me o ciò che mi veniva detto perché, teoricamente, giusto per tutti gli altri. Ad esempio: per tutti è giusto proseguire negli studi, ma io sentivo di dover intraprendere un lavoro che me li avrebbe fatti lasciare.
Tu, però, hai continuato a studiare.
Sì, anche se per esperienza dico che studio e sport possono convivere fino alle superiori: l’università è troppo impegnativa e non offre alcuna agevolazione se lavori. Io sto pagando le tasse universitarie, ma non riesco a studiare perché per Fisioterapia, qui a Foligno, dovresti studiare otto ore al giorno e non mancare mai. Mi hanno detto: “Scegli: o lo studio o lo sport”. Eppure, io sono entrato al primo test d’accesso, ho sostenuto gli esami del primo anno e mi sono fermato solo per il tirocinio.
In che senso?
Proprio per l’attività agonistica che svolgo, ho chiesto al medico della Nazionale di Scherma di poter svolgere il tirocinio universitario nei ritiri delle altre squadre di scherma e ha accettato. Non ha accettato l’Università di Perugia.
Una realtà completamente diversa rispetto all’estero.
Assolutamente sì: all’estero è incomprensibile questa situazione. Alcuni atleti stranieri mi hanno addirittura chiesto se volevo praticare il tirocinio nella loro nazionale.
I tuoi genitori come ti hanno sostenuto?
Mi hanno sempre appoggiato molto, senza essere per niente invadenti: siamo sempre stati una squadra e, quando ho avuto dei cali, non hanno mai insistito. Sono stati proprio modelli sotto questo punto di vista!
Accanto ai tuoi genitori possiamo dire che ci sono anche le forze dell’ordine, le Fiamme Oro?
Sì, senza di loro, effettivamente, è difficile che si riesca a portare avanti uno sport molto costoso come la scherma. I gruppi sportivi delle forze dell’ordine fanno sì che uno sport non muoia: mantengono vivi lo sport e il Paese. Un atleta come me, a 23 anni, senza le Fiamme Oro, studierebbe: tra due anni mi servirebbe un lavoro!
Come mai hai scelto di continuare ad allenarti a Foligno invece di trasferirti in centri più grandi?
Nella scherma il lato mentale è molto importante: serve la tranquillità, oltre alle capacità tecniche e fisiche. Io sapevo che Foligno mi avrebbe dato una serenità con la mia famiglia, i miei amici e i miei affetti che non avrei replicato a Milano. Tutti mi dicono che dovrei andare a Milano, ma sento che non è giusto per me.
Una scelta che ti ha comunque portato alle Olimpiadi. Ti senti di ringraziare qualcuno in particolare?
I ringraziamenti sono tanti. Carlo Carnevali è stato il mio primo maestro e mi ha abbandonato il 31 dicembre 2008: è stata probabilmente la persona più importante nella scherma per me e mi ha dato tutto. Pietro Gnisci, poi, con cui ora lavoro e che mi ha portato dal bambino che ero alla persona che sono. Ringrazio sicuramente i miei genitori che mi hanno sempre sostenuto, l’ex atleta Mario Michele grazie al quale il Club Scherma Foligno è andato avanti, il preparatore Gianfranco Palini e il mental coach Marco Formica. Sono queste le persone che intorno a me hanno fatto la differenza.
ANNAMARIA BARTOLINI