La guerra umbra della sanità
Lo scontro esploso al vertice regionale tra la presidente Marini e l’ormai ex assessore Barberini può essere letto ad almeno tre livelli.
Cominciamo, in controtendenza rispetto agli altri giornali, dal basso. Vista dai cittadini-utenti la sanità umbra non sta benissimo. Dopo una stagione di vacche grasse, coincisa con la costruzione di nuovi ospedali a Perugia, Foligno, Branca, Pantalla di Todi e con la collocazione dell’Umbria ai primi posti del panorama nazionale, oggi la regione è scivolata malinconicamente al 10° posto per la qualità dei servizi. Gli indicatori di criticità sono numerosi. Si va dai lunghissimi tempi di attesa per le indagini strumentali alla debolezza cronica di settori strategici come l’urologia e la neurochirurgia (salvo, forse, a Terni), nonché all’indebolimento recente di quasi tutte le chirurgie, dopo i pensionamenti di Natalini a Perugia, Casciola a Spoleto e Mariani a Foligno. Tra l’altro, il sistema non è più universalistico: per i malati umbri meno abbienti le cure sono spesso precarie, mentre i malati più abbienti devono pagarsi le cure due volte (al SSN e alle cliniche private).
Secondo livello. L’organizzazione sanitaria pubblica è comunque un grande business. Essa incide per quasi il 70% sul bilancio regionale e, con le sue strutture ospedaliere e territoriali, è la più grande fabbrica dell’Umbria per numero di addetti. Ovvero, essa è anche un grandissimo e ambito serbatoio di consensi e di voti per gli attori politici.
Terzo livello. Alla luce di quanto sopra, Catiuscia Marini ha pensato bene di nominare come direttori generali tutti uomini di sua fiducia, a partire da Walter Orlandi, apicale di lunghissimo corso, come super direttore generale della sanità regionale. Lo ha fatto in palese disaccordo con Luca Barberini, titolare della delega assessorile e portatore di istanze di profondo rinnovamento sia nell’organizzazione sia negli uomini. Molti commentatori hanno interpretato la decisione della Marini come un atto di forza. In realtà a me pare piuttosto un atto di debolezza. Confidare sul fatto che il Pd non voglia tornare subito alle elezioni per paura di perderle e che molti consiglieri regionali cerchino di restare in carica sino alla fine naturale della legislatura per interessi personali, è un calcolo forse realistico ma sicuramente miope e opportunistico. Né – e su questo ha ragione Barberini – si può pensare di risolvere i problemi della sanità umbra con gli stessi dirigenti che nel tempo hanno concorso a crearli.
ROBERTO SEGATORI