Un folignate a Parigi: gli attacchi terroristici e la conferenza sul clima
Andrea Michelini racconta da vicino le stragi del 13 novembre (vive a 50 metri dal bar La Belle Équipe) e la COP21, a cui partecipa come Liason Officer della Guinea Equatoriale
ANNAMARIA BARTOLINI
Andrea Michelini, 23 anni, è un ragazzo folignate che oggi vive a Parigi. Il 13 novembre era a 50m da dove si sono consumati i terribili attimi degli attentati. Ad agosto si è candidato per dei tirocini che il Ministero degli Affari Esteri francese ha promosso con la cooperazione del Dipartimento Seine-Saint Denis e l’Université Paris VIII dove studia: è stato, quindi, selezionato per partecipare alla Conferenza sul Clima che si è appena conclusa domenica. Per la Gazzetta di Foligno abbiamo raccolto la sua testimonianza.
Andrea, da Foligno a Parigi: come mai ti sei trasferito in Francia?
Sono ormai dieci mesi che vivo a Parigi per un tirocinio promosso da Eurodissey, un programma di scambio tra regioni europee.
Di cosa ti occupi a Parigi?
Oggi sono iscritto a una laurea specialistica, in Francia detta Master, in Studi Europei e Internazionali all’Université Paris VIII. Dopo un corso di lingua di tre settimane, ogni studente inizia il tirocinio vero e proprio in un’azienda o in un’associazione. Io lavoro con la Maison de l’Europe, un’associazione che si interessa di tematiche europee.
Dove ti trovavi il 13 novembre?
Il giorno degli attentati ero in casa con un mio amico italiano, in Rue de Charonne, a pochi metri dal bar La Belle Équipe, dove sono state massacrate ventuno persone. Eravamo passati in bicicletta davanti al bar esattamente un’ora prima.
Vi siete subito resi conto di quanto era appena successo?
No: dopo una giornata in giro per Parigi, stavamo dormendo tranquilli in casa mia. All’improvviso, però, un mio amico, dopo aver provato a chiamarmi ripetutamente al telefono, ha bussato per svegliarci. Viviamo, infatti, in una residenza per studenti e, una volta svegliati, ci siamo precipitati nella sala comune dove l’atmosfera era delle peggiori. Stando insieme con almeno altri trecento ragazzi, eravamo sicuri che qualcuno di noi fosse rimasto coinvolto nell’attentato, fatto poi smentito fortunatamente.
Come avete reagito alla notizia degli attentati?
Eravamo tutti allibiti davanti alla televisione mentre annunciava a mano a mano le vittime dei vari attacchi terroristici che avevano colpito la nostra città, il nostro quartiere e, addirittura, lo stesso bar a pochi metri da noi, dove andavamo ogni domenica. Ci tengo a sottolineare, però, che tra i tanti, c’erano molti amici musulmani che erano sconvolti esattamente come noi, giusto per smentire quanti semplificano “musulmano uguale terrorista”, come se non ci bastasse l’“italiano uguale mafioso” che in Francia ha tuttora un grande successo.
Credi che i francesi si aspettassero una tragedia simile?
Ho trovato i francesi in qualche modo, forse già “abituati” a fatti del genere e un po’ meno scioccati degli altri. Nonostante l’eccezionalità degli attentati, infatti, pochi mesi prima c’era stato l’attentato a Charlie Hebdo, a pochi metri dalla stessa discoteca Bataclan, dove il 13 novembre sono morte più di ottanta persone.
Che ripercussioni hanno avuto gli attentati sulla Francia?
Ripercussioni enormi, a partire dalla dichiarazione dello stato di urgenza, fatto che non accadeva dalla guerra in Algeria del ’58-’62. Nessuno si aspettava un attacco diretto, organizzato e così efficace.
Che clima si respira ora a Parigi?
Basta guardare il risultato del primo turno delle recenti elezioni regionali in cui ha vinto il Fronte Nazionale di Le Pen. Si ha l’impressione di vivere un’atmosfera di incertezza e di cambiamento, in cui la Francia sta mettendo in discussione se stessa e i propri valori. È un Paese scosso, impaurito, messo in discussione dall’esterno e, soprattutto, dall’interno: i terroristi erano quasi tutti francesi o belgi. È un Paese che oggi deve confrontarsi con problemi come la crisi economica, la disoccupazione, la perdita dell’egemonia in Europa a favore della Germania, la questione sociale legata alle banlieues, l’integrazione dei “nuovi francesi”, il rapporto con l’Islam e, per ultimo, il terrorismo.
Problemi, dunque, che minano i fondamenti e i valori de la République?
Sì, ma anche qui tengo a precisare che il Front National ha sì stravinto, ma non a Parigi, non nello stesso quartiere preso di mira dagli attentati (l’11ème arrondissement): un quartiere pieno di bar, ristoranti, discoteche, giovani hipsters, cosmopoliti, un quartiere pieno di giovani di tutto il mondo tolleranti e aperti verso culture diverse. Gli stessi, dopo solo qualche giorno, hanno risposto con la tipica strafottenza rivoluzionaria dei parigini, tornando a uscire nei bar come se nulla fosse successo e rispondendo ai terroristi con le armi dei pacifisti, con la gioia di godersi la vita a colpi di birra rappresentata simbolicamente dal tweet #tousenterrasse (tutti al bar).
La gente, però, ha ancora paura a fronte anche della Conferenza sul Clima?
Per quanto riguarda la COP21 c’è una sorta di psicosi collettiva, un’atmosfera di timore e di consapevolezza che, seppure tornati alla tranquillità, prima o poi ci sarà un nuovo attentato, soprattutto, dopo che François Hollande ha annunciato gli attacchi aerei.
Anche tu fai parte della COP21: qual è il tuo ruolo?
Io sono il Liason Officer della Guinea Equatoriale. Insieme al mio tutor, un giovane diplomatico franco-svedese di nome Hugo, sono di appoggio alla delegazione per quanto riguarda la logistica, la gestione degli impegni e delle conferenze. Dato, inoltre, che la Guinea Equatoriale è l’unico Paese ispanofono dell’Africa, cerco di facilitare le comunicazioni tra i diplomatici con lo spagnolo che ho imparato a Madrid durante uno scambio Erasmus.
Qual è il risultato più importante che, a tuo parere, la COP21 sta raggiungendo?
Credo sia di riunire un così gran numero di capi di stato (non sono mai stati così tanti), di associazioni e aziende. Questo riflette il riconoscimento mondiale di un problema che riguarda tutti e che, almeno, è finalmente riconosciuto tale da tutti i Paesi della terra (o quasi).
Che significato assume la partecipazione di migliaia di delegati alla Conferenza sul Clima in un Paese colpito da così pochi giorni da attacchi terroristici?
Gli attacchi del 13 novembre sono una vittoria dello Stato Islamico e una sconfitta per la terra. Dopo i tragici eventi, un gran numero di manifestazioni, conferenze ed eventi è stato annullato e, in un certo modo, si è messo il tema del cambiamento climatico a favore del terrorismo.
In un contesto così internazionale, i francesi come guardano all’Italia?
L’immagine dell’Italia in Francia è un mix tra amore per la nostra cultura, lingua, cibo, paesaggi, origini (ci sono molti italo-francesi), consapevolezza di un legame sociale con noi e, allo stesso tempo, clichés e verità scomode come quelle dell’Italia mafiosa, corrotta, machista, tradizionale, razzista, rimasta ancorata al passato. In generale, però, è un’immagine piuttosto positiva.
Tu, invece, come vedi la nostra città, Foligno, da Parigi?
Vedo l’Umbria e Foligno come dei posti magnifici per quanto riguarda paesaggi, tranquillità, bellezza e cibo. Tornando a casa dopo sei mesi trascorsi a Parigi, mi sembrava di trovarmi in una valle verde e incantata, dove il tempo si era fermato a molti anni fa (grazie anche all’eccellente servizio di Trenitalia).
Conti di ritornare in Italia?
Ho rivalutato moltissimo l’Umbria e, in particolar modo, Foligno. Ogni volta che torno, tuttavia, ritrovo molte delle contraddizioni tipicamente italiane che poi mi spingono a ripartire. Non penso, quindi, di tornare in Italia nei prossimi anni. È la voglia di esplorare e conoscere il mondo, però, che mi spinge a partire, non il ripudio della mia terra!
ANNAMARIA BARTOLINI