Contro i radicalismi, tornare alle radici dell’umano
Papa Francesco, in viaggio in Africa, ha toccato un tema che da secoli interroga le religioni: quello della violenza in nome di Dio. “Il Dio che noi cerchiamo di servire è un Dio di pace. Il suo santo Nome non deve mai essere usato per giustificare l’odio e la violenza”, ha affermato, facendo eco ai passi biblici che presentano Dio come colui che “stronca le guerre” e il Messia come “principe della pace”, definendo la pace come la condizione da raggiungere attraverso il ravvedimento di chi compie il male.
La religione, dunque, c’entra o no con l’uso della violenza? In ambito cristiano si sono dapprima posti limiti alla liceità della guerra e infine si è giunti a condannare le azioni militari quasi senza eccezioni. Tuttavia, la religione in molti casi è ancora pretesto per la violenza e non si può negare che il terrorismo di matrice islamica è espressione del mondo musulmano così come le Crociate lo furono dell’Europa cristiana del Medioevo; tuttavia, entrambi ne sono la manifestazione degenerata e asservita ad interessi politici ed economici, estranei a religioni di pace che vengono svuotate della missione di avvicinare l’uomo a Dio e strumentalizzate esclusivamente per il loro bagaglio simbolico. Il deposito della fede – la tradizione non meno della Scrittura – è chiaro nell’orientare decisamente i cattolici verso il ruolo di “costruttori di pace”.
Più complessa, tuttavia, è la situazione in campo islamico, dove l’assenza di una gerarchia e la difficile interpretazione del Corano – che mal sopporta un’esegesi condotta con metodo storico-critico, essendo stato dettato letteralmente – rendono ardua la ricerca di interlocutori. Eppure, non è impossibile perseverare nel dialogo, sebbene sia forte la tentazione di un intervento armato che, come tutte le vendette, innesca odio anziché placarlo. Cristiani, ebrei e musulmani – almeno loro – possono incontrarsi su una piattaforma di valori condivisi che possano gettare le basi di un’umanità pacificata e aperta al trascendente.
Non può essere l’Occidente nichilista, non il suo laicismo negativo a dare risposte efficaci alla crisi in atto: questa nostra società da Basso Impero, “liquida”, “sazia e disperata”, con le sue invisibili sacche di povertà perse in anonime periferie non dà risposte alla sete di assoluto di tanti che finiscono in pasto ad opposti estremismi.
Contro il radicalismo di chi vede nell’Occidente tutto il male possibile, ma anche contro quello di chi si arrocca in una difesa a oltranza dell’identità occidentale e quello di chi vorrebbe sostituire a tutte le fedi un’unica religione atea, l’unico antidoto possibile è una sana radicalità unita ad un’altrettanto sana laicità. Radicalità e laicità che – senza cedere alle degenerazioni degli -ismi – significano riscoperta, nell’identità religiosa di ognuno, delle radici della convivenza, del dialogo, della fiducia, di ciò che è autenticamente umano.
FABIO MASSIMO MATTONI