Come passa la notte un volontario
La nostra città, crocevia di transito e d’incontro, dopo il terremoto è ritornata punto di riferimento nell’ospitalità di quanti si trovano nella condizione di “homeless”, senza casa. L’Ospitale S. Giacomo – in continuità ideale con la struttura che nel Medioevo ospitava i pellegrini in transito – è ora casa di accoglienza gestita dalla Caritas, risposta cristiana alle sfide del disagio e delle emergenze del nostro tempo. Non è nel nostro stile pubblicare statistiche sulle tipologie dell’indigenza degli ospiti del San Giacomo, che la crisi economica incrementa nella quantità e nella diversità. Denominatore comune sono la povertà e la solitudine. La povertà a volte è di vecchia data, altre volte è recente, provocata dall’improvvisa perdita del lavoro. La solitudine, creata da un lutto o da un divorzio, è destinata spesso a peggiorare situazioni precarie. Il giovane italiano già tossicodipendente, in bancarotta con se stesso, viene accolto, così anche il giovane extracomunitario o il nostro connazionale entrambi licenziati dai rispettivi lavori. Le nostre porte si aprono alla badante straniera a rischio rimpatrio – perché rimasta improvvisamente senza casa ed occupazione per la morte dell’anziano che accudiva – e alla donna dal passato doloroso che nessuna signora perbene prenderebbe come collaboratrice domestica. Il servizio gratuito dei volontari presso l’Ospitale S. Giacomo, dalle 20 alle 8 del mattino successivo, è prestato quotidianamente, festività comprese, da 2 persone che ruotano a turno. L’accoglienza degli ospiti inizia con la registrazione e la conoscenza delle persone .“Ma perché queste persone, senza dimora stabile anche nei giorni delle festività natalizie?”. La domanda del volontario è coperta da altre voci: la voce dell’ospite che chiede l’occorrente per rifarsi il letto s’incrocia con quella di un altro che necessita di un sapone. E il volontario si adopera con il collega per soddisfare entrambe le richieste. A metà serata, per la quotidiana visita di amicizia, arriva Leonardo, che, insieme a don Giovanni e Valentina, rappresenta una delle colonne portanti dell’esperienza di accoglienza del S. Giacomo; Leonardo s’informa sull’andamento della serata e conversa con tutti. Poi gli ospiti raggiungono il proprio letto, gli uomini in due stanze adiacenti, le donne al piano superiore. Più tardi viene inviato al Commissariato il fax quotidiano con nominativi e dati dei presenti. La notte scende veloce, giunge l’ora del sonno, necessità per tutti, desiderio di oblio per alcuni. Il mattino inizia presto ed è scandito da ritmi consueti: il volontario riordina il divano letto sul quale ha dormito, gli ospiti dopo il risveglio lasciano le stanze ed entro le 8 tutti sono tenuti ad uscire dalla casa, perché presto arriveranno le signore addette alle pulizie. Il caffè preparato dai volontari raduna i presenti per un momento di aggregazione prima del commiato. Ultima incombenza, il controllo degli ospiti in uscita. È sorto un nuovo giorno, con le sue attese e le sue speranze. Un nuovo giorno per il volontario, che col ritorno alla quotidianità avrà modo di verificare il senso del proprio impegno. Un nuovo giorno per gli ospiti: qualcuno si reca ad un incontro per la ricerca di occupazione; la maggior parte continuerà sulla strada, triste compagna di vita in un mondo distratto o indifferente. Ma l’ospite sa che, al suo ritorno in quella famiglia allargata che è la casa di S. Giacomo, troverà comunque un piccolo mondo di amici pronti a condividere una battuta, ad ascoltare uno sfogo, a rispettare il suo silenzio, senza mai giudicare. Avrà l’opportunità – almeno lì – di non sentirsi solo né emarginato.
© Gazzetta di Foligno – GIUSEPPE LIO