“Neos Kosmos”: un “Nuovo mo(n)do” di fare casa
“Una cerimonia davvero bella, sobria e suggestiva, ricca di emozioni ed umanità, un ritorno dove il ricordo di zio Cavaterra mi ha avvolto senza posa”. Così lo ha ricordato in un post, seguìto alla giornata inaugurale dello scorso 2 maggio, chi ha conosciuto da vicino “zio Cavaterra”, per tutti don Giuseppe, dedicatario della nuova casa di accoglienza (“Neos Kosmos Social House”, “Nuovo Mondo” in italiano) aperta dalla Caritas diocesana in via Barbati, per molti anni abitazione del parroco folignate.
È dolce il ricordo in chi ce lo racconta, lesto nel passare dalle ripetizioni gratuite di greco alla cantina del contadino a battere il torchio, con un fucile spezzato sempre appuntato sulla sua giacca da sacerdote. Un binomio, quello del progetto afferente alla casa e della figura di don Giuseppe, niente affatto casuale. Sì perché la social house – contestualmente a quella di Serrone il cui taglio del nastro è in agenda per il 9 maggio alle ore 18 – non è solo destinata a chi non ha più un tetto da chiamare “casa” ma anche ai giovani italiani che affiancheranno i bisognosi, oltre ai ragazzi che, dall’estero, passeranno un periodo formativo a Foligno per imparare gratuitamente un mestiere o iscriversi all’università. “È da qui che nasce L’Arca del Mediterraneo” – ha commentato a caldo Mauro Masciotti, direttore della Caritas – perché la cultura vissuta nella gratuità, sull’onda di don Giuseppe, possa essere uno strumento per accompagnare i giovani nella vita. Una novità allora come oggi”. “Esulto sempre quando una casa torna ad essere abitata”, ha esordito il vescovo Sigismondi nell’inaugurare la struttura e confessando l’avverarsi di un sogno. Una gioia che non sarebbe stata possibile senza il contributo, importante e continuato, della Fondazione Carifo. La casa – divisa in due appartamenti, rispettivamente per uomini e per donne – è già abitata da un mese, complice l’emergenza abitativa, sfida principe della Casa della Carità. Ma a campeggiare su tutto, le parole di don Giuseppe, fissate in un quadretto in una delle stanze che lo ha voluto così ricordare: “C’è anche l’arte di fare il bene: essa non è la messa in scena del bene ma una fedeltà continuata tra il sentimento e la traduzione in opera di esso”. Sia questo l’incipit di un “nuovo mo(n)do” di essere casa e di essere comunità.
FRANCESCA BRUFANI