La Via crucis di Paladino per Foligno
Il 7 maggio del 1964 il beato Paolo VI pronunciava nella Cappella Sistina, davanti all’Unione Nazionale Italiana Messa degli Artisti, il celebre discorso nel quale da un lato si rammaricava per quella “distanza” che negli ultimi decenni aveva allontanato la Chiesa dalle ricerche artistiche d’avanguardia, dall’altro esprimeva un accorato invito: «Rifacciamo la pace? quest’oggi? qui? Vogliamo ritornare amici? […] Noi dobbiamo ritornare alleati. Noi dobbiamo domandare a voi tutte le possibilità che il Signore vi ha donato, e, quindi, nell’ambito della funzionalità e della finalità, che affratellano l’arte al culto di Dio, noi dobbiamo lasciare alle vostre voci il canto libero e potente, di cui siete capaci. E voi dovete essere così bravi da interpretare ciò che dovrete esprimere, da venire ad attingere da noi il motivo, il tema, e qualche volta più del tema, quel fluido segreto che si chiama l’ispirazione, che si chiama la grazia, che si chiama il carisma dell’arte».
Quel deciso atteggiamento di apertura avrebbe inaugurato una lunga e feconda stagione di dialogo fra la Chiesa e i linguaggi architettonici e artistici contemporanei. La chiesa di San Paolo Apostolo a Foligno (2001-2009), realizzata su progetto di Massimiliano e Doriana Fuksas, si colloca senz’altro nel solco di questa collaborazione; la Via crucis (2007) in terracotta e ferro, pensata appositamente per questo spazio da Mimmo Paladino (Paduli 1948), ne costituisce il felice corollario.
Paladino è artista di fama internazionale. Pittore, scultore, incisore, fotografo, scenografo e regista, l’artista campano si è affermato nel panorama artistico mondiale negli anni Ottanta grazie al movimento della Transavanguardia; ma a ben vedere il suo lessico cólto, ricco di citazioni e di simboli, è irriducibile a questa semplice formula storiografica, giacché l’indirizzo anticoncettuale abbracciato dagli esponenti del gruppo – Chia, Clemente, Cucchi, De Maria e Paladino, coordinati dal critico Bonito Oliva – è declinato dal Maestro di Paduli in un linguaggio assolutamente originale, che è stato variamente definito come primitivista, meridionalista, arcaizzante, archeologico.
Le stazioni della Via crucis folignate non costituiscono l’unica occasione in cui Paladino si è misurato con il tema del sacro e con lo spazio liturgico, ma possono essere considerate uno degli esiti più convincenti di questo confronto: quattordici opere pittorico-scultoree che condensano il racconto della Passione di Cristo in pochi, efficaci simboli e oggetti, in un «linguaggio di frammenti, a volte trovati, altre creati – sono le parole dell’artista – dove tutto si innesta in una sorta di coscienza collettiva». Le singole scene non intendono narrare gli episodi in modo letterale, esatto, bensì evocare personaggi e temi già ben noti ai fedeli, in un equilibrio sottile fra la tradizione figurativa e percorsi di lettura molteplici e personali.
Paladino conferisce così alle nude pareti dell’edificio di Fuksas una metrica discreta ma allo stesso tempo ineludibile, confermando quel «dialogo fra cielo e terra» (S.E. Mons. Gualtiero Sigismondi) di cui lo spazio architettonico è segno.
DANIELA VASTA