Mattarella, la modestia al potere
La modestia è rilevante virtù politica. È misura, sobrietà, capacità di confronto e di collaborazione, senso dei propri limiti di fronte alla complessità della politica, convinzioni forti ma senza pretese egemoniche. La definiva così Giampaolo Pansa in televisione, facendo un confronto tra la prima e la seconda Repubblica e riconoscendo tale virtù soprattutto agli uomini migliori della Democrazia Cristiana nei suoi periodi più alti. Il confronto verteva tra i politici di allora e quelli di oggi, quando lo spettacolo sopravanza le competenze e la rissa rimedia all’impreparazione; quando il conflitto perenne, tra le forze in campo o dentro le alleanze e talvolta persino dentro lo stesso partito, ostacola il processo riformatore che proprio la seconda Repubblica voleva realizzare. L’elezione di Sergio Mattarella non è un atto di ossequio alla Balena bianca – per quanto circolassero anche altri due nomi di quella storia – e neppure un ritorno alla prima Repubblica. È il tentativo, riuscito a Renzi, di portare a fondo la sfida al cambiamento, facendo convergere tantissimi voti su un uomo politico, come il giudice costituzionale Mattarella, bene accetto ai veterani della politica e, insieme, rispondente al lavoro dei più giovani per portare il Paese fuori dai vicoli ciechi in cui si trova oggi. La figura di Mattarella non è stata mai un volto della politica corteggiato dalla TV salottiera e cabarettistica – e per questo un’intera generazione non la conosce -, eppure il nuovo Presidente possiede alcuni requisiti fondamentali in questo momento. È un uomo che conosce bene la fatica e la complessità della politica, ma non ha la boria del salvatore della patria. Ha una profonda esperienza di giudice costituzionale che gli permette maggiore serenità circa la vera o presunta anticostituzionalità troppo spesso lamentata ad ogni tentativo di riforma. È un uomo che ha collaborato al processo d’incontro di culture politiche approdate nel Partito Democratico: un uomo di parte, dunque, ma capace di rappresentare un punto alto di equilibrio e di apertura in uno schieramento, il centro-sinistra, che dalle dimissioni di Cossiga ha sempre dovuto esprimere il Presidente della Repubblica, in mancanza nel centro-destra di candidature altrettanto autorevoli e capaci di consenso. Infine, il suo essere stato negli ultimi anni fuori dalla partita e dalle tifoserie lo posiziona meglio, rispetto ad altri, nel ruolo di arbitro. Di fatto, l’aver sfiorato la maggioranza dei due terzi rappresenta un salto di qualità della politica, che ha preferito questa volta la modestia della persona alla notorietà del personaggio. Modestia di un grande, però, per il rigore morale e la concretezza del fare. Mattarella ci ricorda la primavera di Palermo, con la lotta alla mafia e la formazione di una nuova classe dirigente alla scuola di Padre Sorge. Ci insegna, con le sue famose dimissioni, che il primato della coscienza e il rispetto delle regole sono i principi veri della carriera politica, assieme allo scarto tra verità e consenso. Ai cattolici, tutt’altro che irrilevanti oggi, indica il compito di tradurre i valori in democrazia.
ANTONIO NIZZI