Il martire? Estingue l’odio con il perdono
Migliaia di fedeli ai festeggiamenti per il santo patrono, il Vescovo Gualtiero invita a non confondere martiri e terroristi e incita i fedeli ad imbracciare l’arma del perdono
“Integrazione vuol dire non essere prevenuti verso chi professa una fede diversa, ma nemmeno sprovvisti di una chiara e fiera consapevolezza della propria identità culturale e religiosa”. Queste parole, pronunciate dal Vescovo Gualtiero al termine dell’omelia durante il Pontificale della festa di San Feliciano, costituiscono il cuore di un messaggio che ha corso, come un filo rosso, lungo tutti i momenti delle celebrazioni di quest’anno. Un filo che è, in realtà, un rivolo di sangue, quello versato dal martire fondatore della Chiesa di Foligno, unito a quello di tutti coloro che lungo la storia della Chiesa hanno testimoniato che “la forma più intensa dell’esperienza della libertà è l’amore” ed anche, non lo si deve tacere, a quello dei cristiani che ancora oggi sono perseguitati a causa della loro fede. Un rivolo che sgorga idealmente (ma direi meglio misticamente) dal costato di Cristo, primo grande martire, come ha ricordato l’Arcivescovo di Corfù Ioannis Spiteris, ospite delle celebrazioni di quest’anno, che ha presieduto i primi vespri solenni al termine dei quali ha firmato, assieme al Vescovo di Foligno, il protocollo di gemellaggio tra le due diocesi.
Dalla cattedra che fu del martire Feliciano, durante i momenti nei quali ha preso la parola per esortare e incoraggiare la città, il Vescovo Gualtiero è apparso animato da un’urgenza e una premura perfino più sollecite del solito. Riguardo al susseguirsi di atti terroristici ha voluto ribadire con fermezza che “quando i kamikaze, che dicono di agire nel nome del Profeta, si definiscono “martiri” e affermano di essere disposti al “martirio”, anzi di cercarlo, occorre gridare con forza che non sono martiri: non lo sono nemmeno per larghissima parte dell’Islam! I kamikaze, infatti, non sono martiri ma “criminali con pulsione suicida”. E ha ricordato a tutti quale sia l’unico possibile identikit del martire: “è sempre disarmato; ama, non odia; non si toglie la vita, ma la dona; è incapace di qualsiasi violenza; non cerca il martirio ma, se costretto, è disposto a subirlo. La sua testimonianza è mite e pacifica: estingue l’odio con il perdono.” E proprio al perdono, tratto distintivo, se ce n’è uno, dell’identità cristiana, il Vescovo ha dedicato accorate parole durante i secondi vespri, quando la vastissima folla che aveva attraversato la città in processione si è riversata nella cattedrale: “perdonare non significa chiudere gli occhi dinanzi al male: non si perdona perché si dimentica, si dimentica perché si perdona! Il perdono non sostituisce il giudizio ma lo supera, ricrea le condizioni per un nuovo inizio…”. Chissà quali situazioni aveva nel cuore il Vescovo mentre pronunciava queste parole con voce a tratti tremante per l’intensità, quali dissidi, quali fratture, forse alcune anche interne alla Chiesa!
Un nuovo inizio. È questa la vittoria di chi accetta di essere chicco di grano che muore, di chi vive “il “martirio” della fedeltà quotidiana al Vangelo”, accettando le umiliazioni che inevitabilmente ne derivano. È questa l’eredità che ci consegna la testimonianza di Feliciano, ricordandoci che la paura di incontrare l’altro, l’incapacità di accettarlo e di dialogare con lui, dipendono in genere da una malattia dell’identità. L’affetto e la devozione che migliaia di folignati hanno tributato anche quest’anno al loro patrono attestano il desiderio di guarire da questa cronica malattia che genera debolezza d’animo e infermità d’azione, attingendo non alla cura miracolosa di una superficiale devozione, ma al salutare ricostituente di cui sono impregnate le radici della propria fede.
VILLELMO BARTOLINI