Troppo sangue in famiglia
Anche il folignate che nel camping di Marina Palmense ha sparato alla moglie sta a testimoniare che troppi reati si consumano in ambito familiare. Le vittime delle stragi familiari oramai non si contano più. Uccide la moglie e poi si toglie la vita. Accoltella le figlie e tenta il suicidio. Omicidio in famiglia: se il mostro vive in casa. Sono solo i titoli più recenti di quest’estate con cui i mass media hanno raccontato, con dovizia di particolari, come la violenza omicida sia entrata nelle famiglie e come le mura domestiche siano diventate teatro di tragedie inquietanti e talvolta inspiegabili. Mariti o compagni uxoricidi, padri o anche madri che sopprimono la prole, figli che uccidono i genitori: sono fenomeni in crescita che ci spaventano, soprattutto perché non se ne ha una chiara comprensione e si fatica a intervenire. Al momento li subiamo, temendone l’ascesa e l’incombente minacciosità che può colpire quando e dove meno te lo aspetti. A volte si legge di femminicidi preannunciati, portati a termine da mariti, compagni o ex; ma spesso si tratta anche di coppie dalla vita matrimoniale serena o di famiglie “normali” che poi finiscono in tragedia. Le violenze e i reati consumati in famiglia sono trasversali: non legati ad una particolare ceto sociale, al grado di istruzione, alla condizione economica o all’età. Esprimono comunque la profonda crisi che sta vivendo la famiglia – scriviamo “famiglia”, senza aggettivi – e, con essa, anche la società. Di sicuro, qualcosa di serio non sta funzionando se, dopo le rivoluzioni libertarie del secondo Novecento – bastino, come esempi, la conquiste dei diritti e della dignità delle donne, la liberazione dell’amore da una morale austera e bacchettona, l’idea di famiglia o di convivenza costruita sulla reciprocità e la corresponsabilità, il rapporto genitori e figli oramai libero da coercizioni -, ci ritroviamo oggi in una società non più repressiva come in passato, ma abbondante di disturbi nevrotici, di persone depresse e di comportamenti aggressivi che esplodono in forme di violenze estreme. Violenze che proprio nelle famiglie si generano e si autoalimentano. Violenze che non potevamo immaginare e che ora ci colgono impreparati. La storia ci dice che la violenza in famiglia, sia nelle sue forme più tipiche e tradizionali che in quelle dovute ai processi di cambiamento, c’è sempre stata, espressione anche – aggiungono gli psicologi – di quelle motivazioni inconsce che spingono talvolta l’uomo, o la donna, a colpire i propri consanguinei. Ma oggi si è passato il segno. Nonostante il calo sensibile degli omicidi volontari, cresce il numero dei delitti commessi in famiglia: 175 le vittime nel 2012. Paradossalmente, proprio la famiglia, che dovrebbe volere più di tutti il bene e la felicità di coloro che la formano, si rivela origine di drammi e di grave sofferenza. I reati e i delitti tra le mura di casa, più che un raptus di follia, sembrano il sintomo di una famiglia sempre più fragile, perché incapace di ritrovarsi in se stessa e perché poco sostenuta da un Paese ancora latitante di fronte alle nuove urgenze educative. Da dove ricominciare? La denuncia non basta.
© Gazzetta di Foligno – Antonio Nizzi