La società futura può fare a meno della famiglia?
È ormai evidente che una senescenza progressiva sta colpendo il Paese, dove l’Umbria appare ben posizionata. Non è facile affrontare il problema, perché occorrerebbe un esame di coscienza ed una coraggiosa autocritica anche da parte della cosiddetta cultura laica, poco abituata – basti vedere la boriosa superiorità verso i mea culpa in corso nella Chiesa – a mettersi in discussione. Non è facile un autoesame collettivo su alcuni miti di cui tale cultura si è nutrita negli ultimi decenni, e ha nutrito a forza la società italiana. Prendiamo il mito della crescita demografica, quello femminista e quello del superamento della famiglia: cosa ci stanno lasciando in eredità simili narrazioni ? Di sicuro, diverse cose non hanno funzionato se, a quarant’anni dalla rivoluzione sessuale, stiamo diventando un paese di vecchi. Il femminismo ha vinto molte battaglie, ma non la guerra: ha migliorato le condizioni delle donne, ma non ha salvato la natalità attraverso un’organizzazione della vita sociale ad essa più favorevole. L’emancipazione femminile, mettendo in secondo piano la scelta riproduttiva, non ha fatto pressioni adeguate e tempestive per creare servizi alle famiglie e ai figli, aprire spazi importanti alla donne lavoratrici, agevolare la vita familiare. Altro mito – senza addossarne la responsabilità al femminismo soltanto – è l’aver creduto che la società futura potesse fare a meno della famiglia. E le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Non è vero, infatti, che oggi sono proprio le condizioni della vita sociale a creare problemi a non finire alla famiglia? Non è vero che la tutela della famiglia richiederebbe una riprogettazione globale di città, servizi e orari, posti e condizioni di lavoro? Tutte queste attenzioni politiche non esistono – anche perché il dibattito su famiglia e cose simili sembra appagarsi d’altro – e la disgregazione cresce. Ma sotto la politica, e prima di essa, c’è una crisi culturale, indotta dal mito della soggettività, cioè delle scelte soggettive da tutelare sempre e comunque, senza più relazioni solide e definitive. In una società liquida, che per definizione evita legami duraturi ed esclusivi, anche l’amore è diventato liquido, modellandosi anch’esso sull’usa e getta, sul desiderio di consumo, sull’impegnarsi finche si ha voglia, senza assumersi responsabilità di qualsiasi genere. Lo ha ricordato a Perugia Z. Bauman, che della società liquida è il teorico: la sindrome del consumo è penetrata nelle fessure più interne della nostra esistenza, anche in quella più grande che è l’amore. Ma il consumismo come criterio di ogni azione, proteso com’è a rincorrere un desiderio dopo l’altro, è difficile che si trasformi in “amore per sempre”, perché – osserva il nostro sociologo – più le relazioni diventano facili a rompersi, più diminuisce la motivazione a combattere le difficoltà che lo stare insieme nella vita di coppia comporta. La società liquida evita, in nome della libertà individuale, impegni stabili e duraturi, ma la fragilità dei rapporti già prefigura, per la famiglia, un futuro gravido di conseguenze preoccupanti. A meno di un cambio di rotta.
© Gazzetta di Foligno – ANTONIO NIZZI