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Festa della custodia del creato

A Foligno dal 30 maggio al 1 giugno si svolge la quarta edizione della Festa della custodia del creato curata dalla Diocesi. I lettori conoscono già il ricco programma, ma è opportuna una riflessione più attenta sulla responsabilità per il creato e sul dovere di esercitarla in ambito pubblico, andando un po’ al di là dei buoni sentimenti e della facile passerella dei luoghi comuni. La proponiamo, questa riflessione, cominciando a discutere quella sorta di pregiudizio culturale anticristiano che è sostenuto in Italia, con argomentazioni diverse, da due maestri del pensiero abbastanza noti come Emanuele Severino e Umberto Galimberti. Per i due pensatori, il cristianesimo – vuoi per la sua idea di creazione (Severino), vuoi per la sua idea finalistica e salvifica della storia (Galimberti) – avrebbe giustificato il dominio e lo sfruttamento della terra da parte dell’uomo, finendo con il consegnare il mondo alla forza devastatrice della tecnica e, dunque, al “nichilismo che è ormai alle porte” come “l’ospite più inquietante”. Galimberti, la sua tesi, l’ha ripetuta anche alla Festa della Scienza di Foligno. Severino sostiene – e qui non ha torto – che la società occidentale tecnocratica ha perso la capacità di rispetto verso la natura e le persone perché ormai tutto viene prodotto, consumato e gettato. Questo per lui è nichilismo, dove tutto si genera e muore. E all’ inizio del nichilismo – ma qui l’estrapolazione è ingiustificata – ci sarebbe il concetto cristiano di creazione, in cui tutto è contingente e destinato a scomparire nel nulla. In verità, nel racconto biblico della creazione le cose stanno diversamente, quando si legge che il mondo e l’umanità sono affidati alle mani dell’uomo, perché ne salvaguardi l’identità originaria e li conduca a compimento con la sua attività trasformatrice. La “natura”, sia cosmica che umana, va riconosciuta e preservata nella sua struttura profonda e va fatta oggetto dell’intervento umano, il cui compito è “dominare” e “custodire”. “Soggiogare” la terra indica la partecipazione degli uomini al potere creativo divino, perché a loro è assegnato il compito di “prendere possesso” della natura e di “guidarne” lo sviluppo verso la pienezza. Il “giardino” è affidato al “lavoro” e alla “custodia” dell’uomo; il potere umano, dunque, ha il suo limite in quello di Dio. La creazione è distante tanto dalla sacralizzazione della “natura” (che la renderebbe intoccabile), quanto dalla riduzione di tutto a “cultura” (che impedisce oggi di parlare di “natura” in nome di un radicale relativismo). Per il cristianesimo la “natura” rinvia a un dato originario da rispettare e chiama in gioco la responsabilità dell’uomo, il cui impegno non è un potere assoluto, ma un trasformare il mondo e la storia rendendoli una dimora abitabile per tutti. La radice della crisi e del nichilismo non sta nel Cristianesimo, ma nell’avere smarrito oggi il rapporto Creatore-creato. Nell’aver dimenticato che il mondo non appartiene alla volontà di potenza dell’uomo, ma a lui è stato dato in uso, affinché lo utilizzi, sì, secondo le regole del mondo, ma sempre in riferimento a Dio che lo ha creato.

© Gazzetta di Foligno – ANTONIO NIZZI

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