Tra precariato e disoccupazione: la Diocesi a convegno
È meglio un lavoratore precario o un lavoratore disoccupato? Sembra questo il termine di confronto attuale tra il modello liberistico e il modello sociale, dove il lavoratore è tradizionalmente inserito in un contesto di protezioni maggiori. Ma posta in questi termini, l’alternativa è troppo semplicistica, troppo astratta e ideologica. Nemico nel lavoro, infatti, non è solo il vecchio liberismo, secondo cui la rimozione del sistema delle garanzie risolverebbe per incanto i problemi della disoccupazione, ma anche lo scarto fra il mercato del lavoro e le risposte della politica, intesa come istituzioni, forze politiche, sindacati, classe dirigente. Ecco le domande del confronto: perché non si riesce a rappresentare, irrobustire e garantire di più il lavoro precario? Vale considerare ancora lavoro “vero” solo quello garantito e assistito secondo le regole tradizionali? È più urgente moltiplicare le opportunità per migliaia di giovani, o invocare un diritto che, al punto in cui siamo, sembra astratto e virtuale? E se si agisse sulla formazione, sulle regole, sulle politiche attive? Il primo versante dovrebbe essere quello culturale e dell’educazione, per preparare i giovani a una nuova idea di lavoro. Bisogna declinare il diritto al lavoro non nel senso che “ci pensi lo Stato a procurare un posto”, ma nel senso che tutti devono avere pari opportunità nella preparazione e nella ricerca del lavoro, nella promozione di un’attività, nella costruzione di un percorso professionale dignitoso. Ci sono poi da ripensare le regole del gioco, perché quelle attuali rendono di fatto possibile governare solo una piccola parte del mercato del lavoro, e quando il sistema di garanzie riguarda una minoranza, alla maggioranza può sembrare un sistema di privilegi. Il sindacato deve insistere per facilitare l’ingresso nel mondo del lavoro e per “rappresentare” forze di lavoro precario, per assicurare ad esse un minimo di garanzie. Infine c’è un grande spazio per una politica attiva del lavoro. Contrariamente a quanto ripetono i neoliberisti, il nuovo mercato del lavoro non consente di attenuare l’iniziativa pubblica, quanto piuttosto di rilanciarla con nuovi criteri. Ad esempio, non la produzione di posti di lavoro, ma l’accompagnamento dei soggetti verso il lavoro: dunque, orientamento, sostegno alla progettazione, borse di studio e lavoro, diffusione di microcrediti, sostegno e tutoraggio a mettersi in proprio. Superare le forme di sussidio generalizzato che possono rappresentare un ulteriore incentivo al sommerso. Semplificare la normativa e rendere più distinguibili i confini tra autonomia, subordinazione e parasubordinazione. Le questioni sono difficili ed è illusorio pensare di risolverle rapidamente. Ma se ai giovani non si può garantire la soluzione immediata, si dia almeno il senso di un impegno vero per accrescere l’occupazione. E se si devono dare messaggi simbolici, si abbandonino le logiche vecchie, si dia il segno di una politica non di aggiustamento, ma di radicale innovazione. Con questa speranza la nostra Diocesi dedica al lavoro il quarto convegno.
© Gazzetta di Foligno – ANTONIO NIZZI