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I tanti volti della povertà femminile

La Giornata internazionale della donna viene celebrata a Foligno con molti incontri di riflessione e di festa. È importante tenere accesi i riflettori sulla condizione femminile, soprattutto per capire le cause di quelle emergenze che ancora colpiscono le donne – violenze, discriminazione, marginalità, mercificazione, precarietà – e per suscitare un cambiamento culturale a partire dalle nuove generazioni. Alcuni dati sono inquietanti: lo scorso anno 128 donne sono state uccise in Italia, migliaia quelle che hanno subito violenze di diverso tipo (violenza fisica, sessuale, psicologica, economica, stalking), spesso nell’ambito familiare. Anche in Umbria il fenomeno preoccupa molto, se è vero che quasi tre donne ogni giorno, dal primo gennaio ad oggi, si sono rivolte al Telefono donna per denunciare violenze. 630 sono state le telefonate nel 2013. Questa violenza di genere si accompagna ad altre condizioni di vulnerabilità e di privazione, che fanno parlare oggi di “impoverimento femminile”, causato dalla combinazione tra discriminazioni economiche e trasformazioni sociali e familiari. Il Quinto Rapporto sulle Povertà in Umbria del 2012 ci presenta i molteplici volti della povertà femminile. Quasi una donna su due non lavora, o, se ha un’occupazione, ha una retribuzione inferiore del 20% rispetto a quella dell’uomo. Il lavoro domestico pesa quasi esclusivamente sulle spalle della donna, in difficoltà a conciliare la vita lavorativa e la vita familiare. Modesta è la rappresentanza femminile nelle istituzioni e nelle aziende. Solo nel mondo della scuola è sovrabbondante. Con la nascita dei figli ci sono donne che perdono il lavoro, altre che devono lasciarlo per dedicarsi alla loro cura. Le generazioni precedenti avevano l’appoggio di una rete di solidarietà familiare allargata, ma ora è sulla coppia che pesa il carico maggiore. Alla coppia coniugale si chiede ora un forte impegno educativo verso i figli, ma oggi questa è toccata da grandi fragilità. Prove ne sono la diminuzione dei matrimoni, il timore di assumere legami definitivi, l’aumento delle separazioni. Le separazioni, dice il Rapporto, provocano tra l’altro anche una perdita di status: i nuclei monogenitoriali, formati spesso dalle madri e dai loro figli, diventano più poveri e con meno risorse anche materiali. “Le madri sole – separate, divorziate – sono il tipo di donna dove si condensano molti rischi di impoverimento”. Se poi devono farsi carico della cura di bambini e anziani, diventa più difficile inserirsi o reinserirsi nel mercato del lavoro in tempi di crisi. L’Italia è agli ultimi posti in Europa per finanziamenti a favore di famiglie, infanzia e maternità con l’1,3% del Pil contro il 2,2% della media europea. Se poi all’assenza di un welfare universalistico si accompagna il retaggio culturale, che scarica soprattutto sulle donne tutto il lavoro di cura, è facile immaginare che non diminuirà facilmente il numero delle donne in situazioni di difficoltà. C’è una sfida politica e una educativa da vincere. Ma finora la politica italiana si è limitata ai cataloghi ragionati sulle possibili tipologie di famiglie.

© Gazzetta di Foligno – ANTONIO NIZZI

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