Cristiani perseguitati
La pace, l’unità dei cristiani, il dialogo tra cattolici ed ebrei, la giornata del migrante e del rifugiato: in questi appuntamenti di gennaio la Chiesa ha invitato tutti a riflettere e ad operare in prospettiva mondiale. La stampa ne parla poco e la politica non sa dove mettere le mani, ma è sempre più preoccupante la situazione dei cristiani perseguitati in diverse parti del mondo. In alcuni paesi d’Oriente c’è il rischio estinzione. Almeno tre milioni di cristiani sono stati assassinati a motivo della loro fede nel ‘900, ma è in questo primo scorcio di secolo che la persecuzione si è intensificata. In alcune zone dell’Africa e dell’Indonesia, in Iraq, India, Cina, Egitto i cristiani non sono per niente sicuri, quando vanno in chiesa a pregare, per le minacce del terrorismo, le bombe, l’indifferenza o l’ostilità delle forze dell’ordine. Nella Conferenza internazionale sulla libertà religiosa, promossa l’estate scorsa a Washington da rappresentanti protestanti, cattolici, ortodossi, ebrei e musulmani, si è detto che i cristiani sono diventati la confessione religiosa più perseguitata. Odio, fanatismo, faziosità si rivolgono, oggi, soprattutto contro i seguaci della religione cristiana: contro di loro l’80% di tutti gli atti di intolleranza religiosa nel mondo. E le minacce ai cristiani non provengono solo dall’islam estremista, perché arrivano anche da una inquietante varietà di forze: la crescita dell’induismo radicale in India; le politiche di regimi ufficialmente atei come Cina e Corea del Nord; le antiche rivalità tribali ed etniche in diverse parti dell’Africa. È, questo, un fatto nuovo e non facile da valutare per intervenire: tant’è che i governi coinvolti rimangono fermi, e restano interdetti sul da farsi anche quei paesi occidentali in cui riaffiora il pregiudizio laicista verso la dimensione pubblica della fede cristiana. Il futuro è difficile soprattutto per i cristiani d’Oriente, dove la democrazia o è negata violentemente o non è in grado di gestire il pluralismo delle società arabe o porta alla ribalta il fondamentalismo musulmano. E ai cristiani, venute meno le protezioni politiche, non resta che l’emigrazione per salvarsi: all’inizio del ‘900 erano il 25% degli iracheni e ora sono l’1%; ma il fenomeno cresce anche in Siria, in Palestina, in Egitto, e sono solo alcuni esempi. Se dovesse finire la presenza bimillenaria del cristianesimo, sarebbe una grande perdita per il mondo arabo-musulmano, perché i cristiani rappresentano qui un fondamento del pluralismo e una sicurezza contro le derive totalitarie. Forse è ora che si muovano, in prospettiva ecumenica, i grandi leader delle Chiese cristiane. Forse i cristiani di tutti i continenti possono fare più e meglio delle politiche dei loro governi, perché la solidarietà espressa a parole non basta, se non è accompagnata da una visione lungimirante e da una mobilitazione che scuota dal torpore movimenti culturali e campagne pacifiste. Forse tutte le persone di qualsiasi fede devono fare esperienza di una solidarietà più viva, per difendere meglio la libertà religiosa e la sicurezza di quanti stanno versando il proprio sangue a causa della loro fede.
Gazzetta di Foligno – Antonio Nizzi