Giovani africani al supermercato
Godspower (27 anni), Amos (32 anni), Julius (31 anni), Kelvin (31 anni), Oseni (22 anni). Sono alcuni dei giovani africani che incontro fuori dal supermercato dove sono solito andare per gli acquisti. Si offrono, a volte forse insistendo un po’ troppo, per spingere il carrello, trasportare borse, fino all’auto parcheggiata. Per tanti è un fastidio o una minaccia, come lo è in genere la vista di uno straniero? Per me no. Forse perché è un servizio per le mie condizioni fisiche. Un servizio che viene svolto quasi con professionalità: nel trasporto degli oggetti, nell’aprire gli sportelli dell’auto, nel “caricare” gli oggetti e sistemarli adeguatamente, rispettando sempre le indicazioni. Ma, a parte la considerazione del servizio, ritengo che vada tenuto presente l’incontro con una persona, una persona particolare, uno straniero, che ti cerca per offrirti un servizio, pur a fronte di un compenso di qualche centesimo o al massimo di un euro. È quindi un’occasione per dare concretezza a quelle linee di “spiritualità della città” (Gazzetta di Foligno dell’8 settembre 2013) che dovrebbero differenziarla dalla “città del disorientamento” e che concernono il guardare l’altro, l’ascoltare la sua storia, il riconoscere e l’andare oltre la diversità, il non rimanere “nell’incomunicabilità del non tradurre”. E i nomi che ho citato all’inizio ho potuto conoscerli aprendo un minimo dialogo con quelle persone. Così ho potuto conoscere a grandi linee le loro storie e le loro attuali condizioni. Sono in maggioranza nigeriani, scappati dal loro Paese per non essere coinvolti nella guerra. Alcuni hanno frequentato la scuola per diversi anni, come Julius, nigeriano, che l’ha frequentata per ben 14 anni, che vive a Foligno con un fratello, o Amos, liberiano, che l’ha frequentata per 12 anni, e vive a Foligno con moglie e due figli. Per quanto riguarda l’appartenenza religiosa, sono cristiani e musulmani. Ma non intendo qui esporre i risultati di un’indagine, perché non ho mirato a svolgerla. Intendo solo dare dei segni di costruzione di quelle “relazioni” tra persone che sono il vero capitale sociale di una città “plurale”. E da cristiano cerco di evitare fratture tra quel che un cristiano è in chiesa e quello che manifesta come cittadino. Per il cristiano, mi sembra essenziale la verifica di quale sia la testimonianza a cui è chiamato di fronte allo “straniero”, ritornando alla Parola di Dio. Dove la tematica dello straniero costituisce una prova decisiva per l’agire dell’uomo in rapporto all’agire di Dio nella storia della salvezza. Nella Bibbia, come evidenzia il teologo Alessandro Cortesi, “il rispetto e l’attenzione allo straniero costituiscono uno degli atteggiamenti che il rapporto stesso con Dio indica come attitudine che concretizza la fede in Dio che si fa presente attraverso l’altro, lo straniero”. Significativo, al riguardo, questo brano del Levitico: “Quando un forestiero dimorerà presso di voi, nel vostro paese, non gli farete torto. Il forestiero dimorante fra di voi lo tratterete come colui che è nato fra di voi; tu l’amerai come te stesso perché anche voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto. Io sono il Signore, vostro Dio”. E nel Nuovo Testamento si legge: “Ero forestiero e mi avete ospitato… In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25).
© Gazzetta di Foligno – Alvaro Bucci