L’albero di Natale
All’allestimento del presepio ho sempre riservato molto tempo, all’albero di Natale, invece, ho dedicato solo qualche scampolo di tempo; da un po’ di anni, però, ho abbandonato l’idea di preparare un albero natalizio, perché si è perso il suo significato più bello di segno e richiamo di Cristo, “Luce del mondo”, “Luce vera che illumina ogni uomo”.
Qualche giorno fa, passando davanti ad un vivaio di piante, ho avuto l’impressione di trovarmi di fronte ad un cimitero di abeti di varie dimensioni: legati e addossati ad un muro, come di fronte ad un plotone di esecuzione, condannati ad essere trapiantati in un vaso di plastica o in terracotta e trasportati al tepore di un appartamento, magari davanti ad un focolare, destino inesorabile per la maggior parte di essi.
Molto spesso l’albero di Natale viene “deposto” accanto al presepio: si tratta della soluzione più opportuna, se non fosse per quelle luci tanto intermittenti quanto abbaglianti che impediscono di fissare l’attenzione “sul bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”.
C’è anche chi posiziona l’albero sul balcone di casa, mettendovi accanto, sulla ringhiera, Babbo Natale, impegnato a salire una scala che lo rende tanto simile ad un vigile del fuoco alle prese con un incendio di luci multicolori.
La soluzione meno invasiva, almeno per i difensori dell’ambiente, sembra essere quella adottata da chi decide di rivestire di luci l’albero “maestro” del proprio giardino, richiamando l’attenzione sull’abitazione, spesso protetta da un muro di cinta invalicabile.
L’albero da Guinness dei primati è quello allestito sul “colle eletto dal beato Ubaldo”, suggestivo non solo per la sua grandiosa mole, ma anche per il fatto che le sue luci sembrano confondersi con le stelle del cielo.
L’albero più bello, anche se di piccole dimensioni, l’ho trovato in una casa di coniugi, soli, molto avanti negli anni: un albero addobbato in modo semplicissimo, reso suggestivo da una coltre di polvere, tanto simile ad una spruzzata di neve, che lasciava intendere che si trattava di un pezzo di antiquariato. Mi commuoveva vedere l’anziana signora stringere le mani del marito un po’ assente ma con gli occhi raggianti di luce; fissando ad intermittenza l’albero tentavo di distogliere lo sguardo da quella scena così intima per non apparire indiscreto. Così grande è stata la commozione che si è creato lo spazio per un prolungato silenzio, che mi ha consentito di richiamare alla mente un episodio analogo, accaduto qualche settimana prima presso la sede della Caritas diocesana, quando ebbi l’audacia di fare una domanda ad un’anziana signora, davvero “venerabile” per il modo in cui accarezzava il suo “vegliardo”: dove e da chi ha appreso l’arte della tenerezza? La risposta è giunta sicura e chiara: “Dai miei genitori, che mi hanno dato pane e Chiesa”. Al sentire queste parole ho preso le mani dei due anziani coniugi, già strette, e con il cuore negli occhi ho scattato una delle foto digitali più belle.
Sarei disposto a mettere questo dono persino sotto l’albero di Natale dei lettori della Gazzetta di Foligno se non fosse preso d’assedio da tanti regali!
+ Gualtiero Sigismondi