Gualtiero Sigismondi

“Saldi, lieti e forti nella speranza”

La meditazione del Vescovo Gualtiero in preparazione all’Avvento

Gualtiero SigismondiVenerdì 29 novembre alle ore 21, nella cattedrale di San Feliciano, il Vescovo Mons. Gualtiero Sigismondi ha presieduto la meditazione per l’inizio dell’Avvento, tempo nel quale dobbiamo essere “saldi, lieti e forti nella speranza”.
Con il tempo di Avvento ci si appresta a celebrare un mistero sempre nuovo, che avvolge interamente il tempo e lo spazio e ci permette di entrare in contatto con i due momenti più alti della fede cristiana: la prima e la seconda venuta di Gesù Cristo, quella della sua nascita e della sua risurrezione. Questi momenti, pur distanti dal punto di vista cronologico, si toccano in profondità, perché nella Pasqua di Cristo è già realizzata la trasformazione dell’uomo e del cosmo, che è la meta finale della creazione. Il tempo di Avvento è un tempo di attesa, che, alla luce della fede, procede dal passato, luce di una memoria fondante, quella della vita di Gesù; allo stesso tempo però, poiché Cristo è risorto, Egli ci attira oltre la morte; perciò la fede è insieme la luce che viene dal passato e che schiude ampi orizzonti. Essendo la fede “memoria del futuro, è strettamente legata alla speranza”.
La speranza è una virtù teologale, ma prima di questo è una Persona: “Cristo Gesù nostra speranza”. Egli è la “speranza della gloria” che ha vinto la morte.
L’apostolo Paolo ci ha sempre esortati a “non porre la speranza nell’instabilità delle ricchezze, ma in Dio, che tutto ci dà in abbondanza”. Il profeta Geremia ci ricorda che è sempre la speranza ad attenderci nei cieli e a far sì che il presente e il futuro ci attirino ad essa, giustifica la fatica del pellegrinaggio di fede, non guarda solo indietro, né mai solo verso l’alto, ma anche sempre in avanti. Gli orizzonti che questa speranza apre la rendono come “un’àncora sicura e salda per la nostra vita… fissata sulla riva del cielo”, ed anche come un “elmo” o meglio un “casco”, secondo i giovani di oggi, da indossare insieme alla corazza della fede e della carità. L’àncora ci insegna ad afferrare saldamente la speranza, il casco ci invita a camminare sicuri: “valutando con sapienza i beni della terra nella continua ricerca dei beni del cielo”.
San Pietro dice che il silenzio dell’adorazione è presupposto alla speranza, e l’olio che alimenta la “lucerna” di questa, secondo l’apostolo Paolo, è l’ascolto della Parola.
L’Apostolo inoltre precisa che solo in “virtù dello Spirito Santo” è possibile “abbondare nella speranza”. Paolo ci invita ad essere forti, saldi e lieti in essa, costanti nella tribolazione e perseveranti nella preghiera. A suo avviso, la pazienza fa da ponte fra la tribolazione e la speranza. Perché “la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza”. Perciò sarà nella pazienza della tribolazione che troveremo “la fonte di speranza e di pace”.
Abramo “nostro padre nella fede” credette, saldo, contro ogni speranza, per poi divenire padre di molti popoli. È da queste parole che si comprende come la fede rende figli, la carità fratelli e la speranza padri: cioè adulti nella fede. Questa, quando è operosa per mezzo della carità, rende affidabili nella speranza che non delude, perché basata sulla certezza che “amore e fedeltà” precedono il volto del Signore.
Il profeta Zaccaria ravviva in noi la consapevolezza di essere “prigionieri” della speranza e non suoi “carcerieri”, poiché è in essa “che siamo stati salvati”.
Maria Vergine è l’immagine della speranza; il salmista infatti dice “Sta’ in silenzio davanti al Signore e spera in Lui”. Lei, “unica lampada accesa al sepolcro di Gesù”, ha avvertito i brividi della desolazione, ma non ha portato i lividi della rassegnazione. Isaia ci insegna che sia Maria, “Madre della speranza”, a ricordarci che “quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi”.

© Gazzetta di Foligno – VALERIA BALDAN

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