La famiglia e l’adozione
Paola e Roberto si raccontano
La Gazzetta vuole mantenere viva la riflessione sulla famiglia, non solo come realtà di coppia, ma come luogo in cui convergono tutti i problemi e le tensioni della vita: figli, anziani, sofferenza nella malattia, handicap, lavoro, disoccupazione, cassa-integrazione, difficoltà economiche, per citarne alcuni.
Papa Francesco lo scorso ottobre ha trasmesso all’intera comunità dei fedeli un questionario con 38 domande, per realizzare una consultazione del popolo di Dio sui temi che coinvolgono tutti gli appartenenti alla Chiesa. Il ruolo della famiglia nella trasmissione della fede, le coppie in crisi e le unioni di fatto, l’annullamento dei matrimoni, matrimoni interreligiosi e famiglie monoparentali, sono alcune delle tematiche menzionate nel questionario-consultazione inviato alle conferenze episcopali di tutto il mondo, con l’obiettivo di permettere “alle Chiese particolari di partecipare attivamente alla preparazione del sinodo straordinario” sulle sfide pastorali sulla famiglia. Infatti il questionario si apre sul tema della “diffusione della Sacra Scrittura e del Magistero della Chiesa riguardante la famiglia”, ma poi non elude, con punti interrogativi, le questioni più controverse della pastorale familiare.
Abbiamo ritenuto il tema dell’adozione un argomento fondamentale nelle scelte di una coppia che vuole diventare famiglia. Iniziamo questa conoscenza specifica con un primo incontro avuto con Paola e Roberto, coppia che da molti anni ha intrapreso l’esperienza dell’adozione e che sento di dover ringraziare per la disponibilità, l’accoglienza e soprattutto il calore che hanno messo nel loro racconto.
Quale motivazione vi ha portato alla decisione di percorrere la via dell’adozione?
Paola – È stata la consapevolezza, maturata nel tempo, che la piena realizzazione della nostra vocazione era diventare genitori, e non rimanere una semplice coppia. In proposito, vorrei sfatare il “mito” che le persone che adottano siano tanto generose e coraggiose; ci è stato detto tante volte, ma noi non ci siamo mai sentiti così. Nell’adozione avviene un incontro tra un bambino e una coppia che diventano così, finalmente, una famiglia. È un dare e un ricevere.
Come sono sostenute le coppie dalla normativa vigente? È previsto dal servizio nazionale un supporto psicologico per la coppia?
Roberto – La legge italiana richiede che la coppia, una volta ottenuta l’idoneità all’adozione dal tribunale dei minori, si rivolga ad una delle associazioni accreditate che fanno da tramite con il paese straniero, curano tutte le pratiche legali, organizzano i vari viaggi all’estero, forniscono interpreti, psicologi e avvocati. Dopo l’adozione, invece, è la coppia che, nella sua autonomia, può richiedere un supporto. Nella nostra esperienza i servizi del territorio sono stati un punto di riferimento costante e competente. Poi sono stati importanti la scuola, la parrocchia, la società sportiva, gli scout, tutti quegli ambienti che Giacomo di solito frequenta. Essi possono fare la differenza nella qualità della vita di una famiglia adottiva, quando dimostrano competenza, capacità di accoglienza e comprensione delle difficoltà che a volte si presentano.
Le difficoltà burocratiche come hanno inciso sulla realizzazione del vostro obiettivo?
Paola – Bisogna essere molto determinati, perché i tempi sono lunghi e i passaggi da compiere sono tanti, anche se variano in base al paese di provenienza del bambino. Prima dell’adozione siamo dovuti passare al vaglio di assistenti sociali, psicologi, medici, ben due giudici minorili (in Italia per l’idoneità e in Russia per la sentenza di adozione), abbiamo dovuto presentare una quantità inimmaginabile di certificati; insomma, ci siamo sentiti un po’ messi sotto la “lente di ingrandimento”. Questo ovviamente è finalizzato, almeno in Italia, a tutelare il bambino che si va ad adottare. L’interesse dei bambini, però, non sempre è una priorità: a volte, infatti, essi diventano veri e propri “ostaggi”, usati dai paesi di provenienza per ottenere un riscontro economico o un beneficio politico, per esempio attraverso la sciagurata pratica del blocco improvviso delle adozioni. L’adesione di questi Stati alla Convenzione dell’ONU sui diritti dell’infanzia a volte è, purtroppo, solo sulla carta.
Quanto è costato in termini economici portare a compimento l’adozione?
Roberto – Lo Stato italiano stabilisce per l’adozione internazionale un tetto massimo di spesa, variabile da paese a paese, che l’associazione a cui la coppia si appoggia non può far superare. I costi sono molto elevati, tenendo anche presente che sono necessari diversi periodi di permanenza all’estero, con prolungate assenze dal luogo di lavoro. Anche dal punto di vista economico, quindi, un’adozione va programmata nel tempo e con attenzione.
Quali difficoltà linguistiche avete avuto per rapportarvi con il bambino adottato? Come le avete superate?
Paola – Questa è una domanda che le persone ci rivolgono spesso; anche noi pensavamo all’inizio che la lingua potesse essere un problema; in realtà dopo un mese Giacomo già capiva tutto e si faceva comprendere bene. Di sicuro il desiderio di comunicare è stata una molla molto efficace.
Vostro figlio già conosce di essere adottato?
Roberto – Essendo stato adottato all’età di quattro anni, Giacomo si ricorda bene tutto. Vorrei fare una precisazione: spesso le persone pensano che i genitori adottivi scelgano il bambino, ma non è così, almeno se si percorrono le vie legali. L’associazione di riferimento propone un abbinamento ad un bambino e i genitori danno o no il loro assenso. Insomma, come avviene per i genitori naturali, un figlio non si sceglie, si accoglie.
Quali sono state le sue reazioni?
Paola – Intanto mi piace raccontare come ha reagito quando ha saputo di questa intervista, che mi dà modo di far capire con quale consapevolezza vive la sua condizione: alla mia domanda su cosa desiderava che dicessimo ha risposto: “Gli devi dire che i bambini adottati all’inizio sembra che hanno una marcia in meno, ma poi recuperano e diventano bravi come gli altri, anzi, forse anche di più.”
Per prima cosa, anche lui ha dovuto accettarci come suoi genitori. Bisogna immaginare un bambino che con l’adozione all’improvviso viene tolto dall’unico ambiente che conosce, dalle poche sicurezze che ha, per trovarsi con due persone quasi sconosciute, in un mondo pieno di stimoli, ma completamente nuovo. Il periodo di adattamento, senza parlare bene la lingua per esprimere ciò che prova, è complicato; c’è in lui una domanda di fondo angosciante, che è sempre presente anche quando non viene espressa, ed è il perché dell’abbandono. I bambini abbandonati spesso colpevolizzano se stessi, convincendosi che non sono stati accettati nel loro ambiente d’origine perché hanno qualcosa che non va. Hanno quindi pochissima autostima e ogni insuccesso, che è normale nella vita di tutti, viene da loro interpretato come una conferma della propria inadeguatezza. Le reazioni sono una vivacità accentuata, la resistenza alle regole; il rendimento scolastico ne risente. A questo contribuisce anche la mancanza di stimoli e il grande vuoto affettivo che hanno vissuto in istituto nei primi anni della loro vita. Forse è anche per questi aspetti che Giacomo ha mostrato fin dall’inizio una grande curiosità, il desiderio di conoscere e sperimentare tutto e una profonda sensibilità e dolcezza verso le persone che soffrono, soprattutto i bambini. E poi ha un legame fortissimo con i nonni, gli zii, i cugini.
Roberto – A volte veniamo provocati e messi alla prova per vedere fino a che punto gli vogliamo bene. È necessario rassicurare continuamente, cercare quotidianamente il giusto equilibrio tra fermezza e dolcezza, avere una grande pazienza e non considerare i passi in avanti come acquisiti definitivamente. In questa avventura, però, c’è un arricchimento reciproco, umano e spirituale, che non è lontanamente paragonabile alle difficoltà. C’è la consapevolezza che non è tutto nelle nostre mani, che il Signore è presente. Si vive con chiarezza che un figlio non è un possesso, ma un dono bellissimo.
© Gazzetta di Foligno – NICOLINA RICCI