L’Umbria e le caste
In Umbria il cittadino avrebbe bisogno di una società regionale aperta, ma il nostro è ancora un territorio chiuso. Modesta è da noi la cultura del merito, delle competenze e delle responsabilità. Il cittadino come individuo è debole, forti sono le corporazioni. Sono ancora oligarchici i meccanismi di formazione dei gruppi dirigenti regionali, nei quali il corporativismo si salda col familismo. Un giovane può benissimo laurearsi con lode in legge, ma capita che non diventa avvocato se non ha un parente o un amico di famiglia che lo prende nello studio. È solo un esempio, questo, che vale però per tante altre professioni, imprese e attività lavorative, per cui giovano soprattutto le fortune familiari, le professioni dei padri, le buone aderenze con il potere politico. Almeno da un trentennio – se non leggiamo male le tendenze e gli scenari che i rapporti dell’ Agenzia Umbria Ricerche ci presentano – abbiamo a che fare con una regione piuttosto conservatrice e statica, dove scarsa è la mobilità sociale e dove la stessa gioventù è disabituata alle sfide, al rischio, al cambiamento. Ma una regione pigra e chiusa non premia le capacità e il merito delle persone, quanto piuttosto l’appartenenza alle corporazioni e la prossimità alle forze politiche che contano. A rimetterci sono quelli che non stanno nella media, cioè i più bravi e i più sfortunati: i più bravi non sono valorizzati, i più sfortunati non sono tutelati. La politica è sempre più in affanno nell’orientare i nuovi processi economici e sociali, finendo con l’essere “impotente” di fronte a molti problemi, o ad apparire “prepotente” per la sua invasività su troppi campi non pertinenti. La crisi stessa dei partiti e il proliferare di movimenti alternativi più o meno effimeri sono un altro segno di debolezza. I partiti si devono rinnovare in profondità, ma ciò non toglie che essi restino l’unica possibilità di organizzare il consenso intorno ad un progetto che non sia soltanto uno stato d’animo e di organizzarlo con una base di massa. Le alternative ai partiti sono le corporazioni o le élite: ma con le élite governano solo i più forti e le corporazioni riducono la politica a pura mediazione di interessi. L’unica possibilità di recuperare alla politica una dimensione progettuale sono i partiti, magari sotto nuove forme. Così è stato nell’ ottocento con i partiti di massa, creati dai più deboli per riequilibrare il potere dei più forti. Così è ancora oggi in ordine alla democratizzazione della politica. Eppure oggi assistiamo ad un martellamento continuo contro i partiti. Va di moda. Tale critica può anche avere ragioni da vendere, ma se si ferma qui, non ha niente di nuovo da fare, se non riaprire la strada al pensiero elitario, per non dire reazionario. Il mandiamoli a casa tutti può anche venire spontaneo talvolta, soprattutto quando la misura è colma e contagiosa l’indignazione, l’alternativa sarebbe però il mantenimento delle caste e delle posizioni consolidate. Il problema vero è se siamo capaci di far fare un passo avanti all’idea della politica come strumento di lotta per il bene comune, gli interessi generali, il futuro dei giovani.
© Gazzetta di FOligno – ANTONIO NIZZI