È su Assisi lo sguardo del mondo
Assisi non è una società per azioni. La città di san Francesco può essere corteggiata dagli operatori della politica o del commercio o dello spettacolo per avere consensi e denari. Può diventare anche palcoscenico per personaggi, iniziative e movimenti in cerca di visibilità. Può succedere persino che attività turistiche riconducibili alle istituzioni religiose finiscano col diluire la radicalità del messaggio francescano. Ma Assisi è e resta la città del Santo che con umiltà si è abbandonato fiducioso all’Altissimo, ha preso sul serio il Discorso della Montagna, ha rilanciato l’annuncio del Vangelo fino ai confini della terra. Poi noi siamo riusciti a fare di Francesco un santo buono per tutte le occasioni – ambientalismo, pacifismo, buonismo, turismo verde -, tant’è che nessuno oserebbe più ridergli dietro o prenderlo per pazzo. Per Dante, Francesco “fu tutto serafico in ardore” – “serafico” perché il Santo prese le Stimmate da un Serafino, la gerarchia angelica che è più vicina a Dio che con l’amore muove l’universo – ma, nel vocabolario di oggi, “serafico” l’abbiamo fatto diventare sinonimo di santarello, candido, ingenuo, tranquillo. Eppure, “il guerriero di madonna povertà” fu capace di scuotere società civile e gerarchie ecclesiastiche, promuovendo un modo di vivere il cristianesimo che metteva insieme ritorno alle origini e attenzione alla realtà del suo tempo attraversata da grandi cambiamenti. Ribelle ma non sovversivo, critico eppure sempre nel cuore della Chiesa, amante della solitudine e insieme pellegrino fino alla Spagna e alla Terra Santa, Francesco creò un movimento capace di inserirsi nella profonda attualità della sua epoca, adattandosi a una società nuova nei suoi progressi come nei suoi rifiuti. Aprirsi e a un tempo resistere al mondo è stato il programma del francescanesimo. È anche un modello per la Chiesa di oggi, e anche di domani. Papa Francesco, pellegrino in Assisi sulle orme del Santo, viene a ricordacelo : non ci si salva da soli; tutta l’umanità deve salvarsi con una condotta penitenziale comunitaria i cui modelli si trovano in basso, cioè tra i più umili e i più poveri, tra i laici come tra i chierici; il mondo creato da Dio va amato come fonte di gioia e di fratellanza, ma, in quanto snaturato dal peccato, va rifiutato senza compromessi laddove si trova la radice del male e dell’inimicizia. In questa tensione tra accettazione gioiosa del mondo e rifiuto della sua perversione, sta tutta l’attualità del Cantico delle creature, che invita anche gli uomini di oggi a ricercare la propria salvezza con l’atteggiamento dell’umiltà e dell’abbandono. Grazie a Papa Francesco lo sguardo del mondo ritorna su Assisi. E questo sguardo ci provoca. La nostra Umbria, terra di origine del francescanesimo, ne custodisce solamente la grande tradizione artistica e culturale formatasi lungo i secoli o è capace di ravvivare l’eredità della fede e renderla significativa per la vita di oggi? Meta di pellegrinaggi, la nostra terra sa farsi anch’essa compagna di viaggio, con gli uomini che sono in ricerca di senso, di speranza, di pace? 4 ottobre, responsabilità grande per tutta l’Umbria.
© Gazzetta di Foligno – ANTONIO NIZZI