Dogmatico, a chi?
Le parole fanno scherzi. Li abbiamo visti a proposito di “laico”, “fondamentalista”, “clericale”. Ora tocca a “dogmatico”.
Come si sa, il termine greco “dogma” significa opinione oppure dottrina; furono gli scettici a chiamare dogmatici tutti quei pensatori che ritenessero vere le proprie opinioni.
Nel linguaggio ecclesiastico soltanto nel sesto secolo il termine dogma fu usato per indicare una verità garantita dalla Chiesa e quindi discriminante per restare nella comunione ecclesiale.
In epoca moderna si precisò che dogma è una verità non soltanto trasmessa dalla Chiesa, ma soprattutto rivelata dall’Alto; quindi dogmatico significò complessivamente ciò che si riferisce alle verità rivelate e trasmesse.
Però alla fine del Settecento si cominciò a usare il termine dogmatico in senso peggiorativo, come pensiero privo di giustificazioni, al quale si potrebbe sempre opporre il contrario.
Da allora in poi il significato di dogmatico è andato sempre peggiorando, fino a indicare il rifiuto di discutere le proprie idee, e tuttavia volerle imporre. Si rifiuta, per principio, di ammettere qualcosa di erroneo nei propri testardi pensieri.
Concludendo, nel linguaggio comune, fuori dai circoli della teologia, l’attributo “dogmatico” denota una posizione non sufficientemente motivata e tuttavia presentata come indiscutibile.
Di per sé, l’adesione ai dogmi religiosi non include affatto un atteggiamento testardo e totalitario, incapace di esercitare il dubbio; esiste infatti una laicità credente, non formalista, non ripetitiva, nemmeno clericale né dogmatica nel senso deteriore.
Diciamolo, allora, che all’interno dell’insegnamento ecclesiale ci sono molte cose relative, passeggere, mutevoli. La critica esercitata dal papa Benedetto XVI contro il relativismo non deve prestarsi al dogmatismo senza confini. Per esempio, un piano pastorale parrocchiale o diocesano non è indiscutibile e irriformabile; anzi, sta proprio qui il bello, sta nell’occasione che offre di essere diversi, di paragonarsi, di proporre linee nuove di una possibile unità. Perfino la traduzione del “Padre nostro” è discutibile e discussa; che si fa? continuiamo a dire “Non ci indurre in tentazione” o finalmente diciamo “Non ci abbandonare alla tentazione”? I due misteri principali della fede (Unità e Trinità di Dio, Incarnazione Passione Morte e Resurrezione di Cristo) non vengono minimamente toccati da una discussione interna o esterna alla Chiesa sulla posizione politica dei cattolici! Eccetera.
La sapete la storia di Sant’Ignazio di Loyola? Aveva appena deciso la propria conversione, andava a cavallo verso casa sua; nel viaggio si accompagnò ad un moro; Ignazio gli parlò della verginità di Maria non solo nella concezione, ma anche nel parto di Gesù. Il moro non fu d’accordo. Allora Ignazio pensò: “Questo lo prendo a pugnalate”. Non crediamo che oggi una simile discussione comporti l’uso del pugnale. Ma ci sono pugnali e pugnali. Attenti.
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