“Di tutte più grande è la carità!”
Il testamento di don Decio, un esempio incrollabile di fede e amore
Vox populi, vox Dei? Se si tratta di don Decio la risposta non può che essere affermativa. Basta aver raccolto nel corso degli anni le tante testimonianze di chi ha avuto la grazia di essere suo parrocchiano. Conosceva a memoria nomi e cognomi, indirizzi e numeri di telefono delle sue pecorelle, ma soprattutto non cessava mai di interessarsi a loro. Più eri lontano, debole o malato, più don Decio faceva sentire la sua presenza con dedizione assoluta e con costanza ineguagliabile.
Non si può commemorare una persona in astratto, dobbiamo necessariamente concedere spazio al nostro intimo in quanto ricordiamo per immagini: per memorizzare un fiore dobbiamo immaginarlo. Senza sforzo seleziono alcune delle immagini personali che la mia mente associa a don Decio.
Fede
Estate 1992, piena adolescenza. Il gruppo con cui ero cresciuto in parrocchia cominciava a starmi stretto, avvertivo il bisogno di uscire da quello spazio in cui tutto funzionava a meraviglia, ma che diventava ogni giorno meno stimolante e adatto alla vivacità e al dubbio che caratterizzavano i miei sedici anni. Bisognava crescere e confrontarsi anche con altre esperienze, don Decio lo capì senza che io dicessi una parola. Propose a me e ad altri tre ragazzi di andare a Dobbiaco, sulle Dolomiti, al campo-scuola organizzato insieme alla Diocesi di Prato dall’allora parroco di S. Maria Maggiore in Spello don Giuseppe Bertini. Un’esperienza che in seguito compresi essere cruciale per il mio cammino di fede. Ma questo don Decio l’aveva capito prima: semplice, si era affidato allo Spirito.
Speranza
11 giugno 1998. Il grande amico della parrocchia, Valentino Mela, il ragazzo con cui ero andato a Dobbiaco, lo stesso con il quale avevamo appena acquistato i biglietti per seguire il concerto di Vasco Rossi a Imola che ci sarebbe stato a metà giugno, muore improvvisamente per incidente stradale. Ricordo distintamente don Decio, nella sacrestia del Santuario della Madonna del Pianto (S. Feliciano era inagibile a causa del sisma), al termine delle esequie. Mi disse che quello era il momento di affrontare il dolore con speranza, di continuare nel cammino che avevo intrapreso con Valentino, di mantenere vivo il ricordo e di sopportare la Croce. Ammetto che all’epoca non compresi fino in fondo quelle parole, che anzi trovai fuori luogo; ma il tempo, si sa, è sempre dalla parte dei sapienti.
Carità
È difficile trovare una data unica per tutte le volte in cui don Decio ha ricordato a me e ai ragazzi che all’epoca frequentavano la parrocchia di S. Feliciano, di andare a trovare gli anziani che non potevano uscire di casa o si trovavano presso le Case di Accoglienza. Oppure tutte le volte che ci invitava a pensare agli altri, ad animare il gruppo dopo-Cresima, a vivere la nostra vita al servizio degli ultimi. E sappiamo bene quali fossero la lunghezza e la ripetitività delle famose prediche di don Decio! Tra tutte le “richieste” ricordo però, in particolare, quella in cui mi disse di andare a trovare un mio ex-compagno di scuola che non usciva più di casa. Mi ero dimenticato di lui, don Decio no.
Umiltà
Nel 2001 ricevette il “Premio della Bontà”. Don Decio non voleva, non amava i riflettori, non ambiva ad essere celebrato. Cercava solo di manifestare agli altri l’amore di Dio, non rincorreva popolarità o riconoscenza. Ricordo che in quell’occasione si mise a sedere su un banchetto defilato: chissà quanto avrà sperato che quel pomeriggio passasse in fretta!
È impossibile riassumere la pienezza e la gioia di una vita spesa infaticabilmente per gli altri, ho preferito dare spazio alle emozioni, ai ricordi, alle sensazioni che provo pensando al mio vecchio parroco. Affidiamo don Decio alla misericordia di Dio, ben sapendo che ogni uomo ne ha bisogno; ma riteniamo che per don Decio ne occorrerà molta di meno.
© Gazzetta di Foligno – ENRICO PRESILLA