L’insostenibile opacità del potere
Versione integrale dell’intervista a Sergio Gentili, Presidente del Consiglio Comunale. Un bilancio sull’attività dell’assemblea cittadina e una analisi sulle prospettive della politica locale.
Quali sono i principali temi dei quali si è occupato il Consiglio Comunale in questo 2010?
Oltre allo svolgimento di quegli atti di diretta spettanza del consiglio (bilanci, piani economico-finanziari, piani urbanistici), ci siamo dovuti occupare delle questioni più urgenti nell’agenda politica cittadina. Diverse sedute sono state dedicate alle società partecipate, per le problematiche relative a Mattatoio e FILS, per il primo procedendo alla liquidazione e per la seconda avviando una profonda riflessione; ci siamo poi occupati della questione relativa alla gestione degli impianti sportivi, un nodo dolente per il quale il dibattito è ancora in atto.
Abbiamo poi affrontato tematiche di ordine generale, come la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche e nei luoghi pubblici in generale, o alcune questioni locali come la viabilità dei centri montani, o alcuni aspetti legati all’ultimazione della ricostruzione. Abbiamo poi affrontato questioni relative alle politiche culturali e giovanili, ricordo ad esempio il serrato dibattito avvenuto sulla vicenda della rivista Grassetto, che ha dato luogo a prese di posizione da più parti, non ultima quella di Mons. Sigismondi…
Qual è l’agenda per il 2011?
Ci sono questioni aperte che saranno ancora oggetto di attività del consiglio: il tema delle partecipate, il tema dell’impiantistica sportiva e dei servizi culturali (proprio di recente è stata assegnata la gestione del sistema museale e della biblioteca). Io credo che sulla valorizzazione dei beni e dei servizi culturali, Foligno giochi molte delle possibilità di ridefinire la propria identità alla luce dei cambiamenti in atto a livello locale, ma anche nazionale ed internazionale.
Ci vorrebbe un nuovo Faloci?
Ma… Diciamo che serve un piano di valorizzazione del complesso dei beni e dei servizi, che sappia mettere a sistema le varie iniziative e possa accrescere la capacità attrattiva del nostro territorio. Foligno, malgrado ne abbia le carte, non è ancora percepita come città d’arte e di cultura…
Ma le iniziative che riscuotono maggiore successo non sono certo quelle in ambito artistico e culturale. Pensiamo ai Primi d’Italia. La cultura può far girare l’economia allo stesso modo?
Io credo che il gusto e le preferenze dei cittadini vadano anche in qualche modo educate. E comunque molto si gioca sulla capacità di integrare offerte diverse, legare gli aspetti del folclore o dell’enogastronomia di qualità a proposte artistico culturali di livello. Certo non è un lavoro semplice… Lo sforzo della ricostruzione della città, al quale ha partecipato economicamente tutta la nazione, andrebbe sprecato se non ne derivasse una valorizzazione turistica adeguata.
Torniamo all’agenda…
Sicuramente dovremo occuparci della pavimentazione e dell’infrastruttura connessa. Legato a questo tema c’è poi quello, scomodo, di una scelta chiara di traffico e di mobilità per il centro storico.
Chiudere il centro?
Secondo me sì, ma valutando tutte quelle soluzioni che lo valorizzano, non che lo mortificano. Se pretendiamo di passare col SUV sul nuovo acciottolato o di arrivare col TIR davanti al negozio per scaricare la cassa i birra, beh questo non è più possibile.
Ma l’attuale assetto urbanistico non rende ormai difficilmente praticabile questa scelta? Pensiamo solo alla mancanza di parcheggi per i residenti…
Si possono individuare soluzioni, come abbonamenti a basso prezzo per l’uso notturno di parcheggi pubblici, o adibire a garage magazzini e fondi che si trovano in centro, magari consentendo modifiche agli accessi originari.
Gli attuali regolamenti lo consentirebbero?
Probabilmente no, ma i regolamenti sono fatti per essere modificati…
Come possiamo pretendere di indirizzare i cittadini verso una mobilità alternativa se le infrastrutture che abbiamo costruito fino ad oggi non la consentono? Le piste ciclabili sono solo piccoli frammenti scollegati tra loro che non portano da nessuna parte…
Su tutto questo bisogna lavorare partendo da un’idea condivisa, che non possiamo vivere in funzione delle macchine. Noi abbiamo rovesciato il rapporto col mezzo di trasporto. Si va a cena non dove si mangia meglio, ma dove si può parcheggiare! Forse c’è anche un’opera di tipo culturale e pedagogico da compiere…
Tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009 siamo entrati in una spirale di crisi internazionale senza precedenti, quali problemi si trova ad affrontare la politica locale in questa fase?
Certamente un comune da solo non ha mezzi per dare una risposta alle difficoltà che emergono, si tratta di questioni che debbono essere affrontate in sinergia con tutti i corpi economici e sociali. La cosa che deve fare il comune è sostenere soprattutto chi si trova in condizioni di indigenza. Può anche mettere delle risorse per promuovere le condizioni per uno sviluppo dell’imprenditoria, ma non può farsi carico direttamente dei singoli problemi, ad esempio di quello occupazionale.
In questo quadro pare particolarmente importante il coordinamento della politica locale con quelle dei comuni limitrofi e con quella regionale…
Credo che il comune di Foligno abbia più di altri creduto ed investito nella cd “area vasta”, anche per settori fondamentali come acqua, rifiuti, energia e trasporti. Non sempre questa disponibilità è stata ripagata dalle amministrazioni confinanti, nelle quali hanno prevalso a volte politiche più campanilistiche. Dal punto di vista istituzionale poi la nostra città negli ultimi anni ha saputo affrontare in maniera più matura il rapporto col capoluogo, superando l’approccio di lamentazione e sudditanza del passato. Dovrebbe essere preoccupazione comune che le vicende di Tuttopoli, Folignopoli, chiamiamole come vogliamo, non intacchino il ruolo di prestigio e centralità conquistato nel panorama regionale dalla nostra città.
Ma prima di preoccuparci del prestigio non dovremmo adoperarci per fare verità?
L’accertamento dei fatti spetta alla magistratura, ma il ruolo conquistato dalla città, con fatica e dignità, non deve essere compromesso da eventuali comportamenti dei singoli. Non dobbiamo autoflagellarci né possiamo accettare che si dica che “il male sta a Foligno”.
Tornando alle politiche sovracomunali, il disegno delle infrastrutture individuerebbe per Foligno una nuova centralità basata sullo scambio viario, ferroviario e sulla piastra logistica.
Non è anacronistico investire oggi in Umbria nella logistica delle merci?
Dobbiamo considerare che le prospettive di sviluppo tecnologico nel campo dei trasporti che si ipotizzavano alcuni decenni fa, sono rimaste in larga parte irrealizzate. Lo scambio delle merci è ancora fortemente legato ai mezzi tradizionali: treno, camion. È vero che la produzione di beni si è spostata in gran parte in altri paesi, ma abbiamo ancora un ruolo nella loro ideazione.
Ma le idee non si veicolano attraverso le piastre logistiche…
È vero. Ma quello che torna, prodotto altrove, dopo che lo abbiamo ideato, deve essere movimentato. La piastra logistica funzionerà se tutti gli ingredienti saranno messi insieme (viabilità, ferrovia, aeroporto). Finanziare una struttura e realizzarla è la parte più facile, la vera sfida è farla funzionare. Ma questo non può spettare solo all’amministrazione comunale. Occorrerà individuare anche una adeguata capacità manageriale.
Non c’è il rischio che la piastra diventi una nuovo Centro Fiera o un nuovo mattatoio?
Il rischio esiste. Ma è un rischio che possiamo evitare se tutti i soggetti e gli attori coinvolgibili si mettono insieme e definiscono un progetto funzionale, senza guardare unicamente al proprio tornaconto.
Ma questo progetto di gestione non avrebbe dovuto precedere l’opera?
È vero. Diciamo comunque che la struttura è appena partita. Contestualmente ad essa l’amministrazione comunale dovrà fare da catalizzatore nel processo di coinvolgimento dei vari soggetti che potranno sostenerne la gestione.
Alcuni ex sindaci nel forum organizzato ad Ottobre dalla Gazzetta hanno lamentato una certa “spogliazione” del ruolo del Consiglio Comunale dopo la riforma che ha portato all’elezione diretta del sindaco, sostanzialmente si dice che il Consiglio non è più un luogo dove si prendono decisioni…
Sicuramente l’elezione diretta del sindaco ha comportato uno spostamento di poteri a favore di Sindaco e Giunta, anche perché l’elezione avviene sulla base di un programma. Alla assemblea restano comunque compiti di indirizzo e di controllo importantissimi, non c’è un rapporto di asservimento nei confronti del Sindaco.
Ma i contenuti del dibattito sono cambiati rispetto al passato?
Sicuramente le competenze dirette del Consiglio non riguardano la quotidianità della amministrazione, la maggior parte del lavoro si svolge su mozioni ed atti di indirizzo…
Rispetto a temi sui quali il Consiglio non ha potere diretto…
Dipende solo dagli spazi che il Consiglio stesso sa ricavarsi. Gli atti di indirizzo approvati (ad esempio mozioni) impegnano Sindaco e Giunta in un certo modo, ma il più delle volte il Consiglio non va a verificare se tali impegni vengono mantenuti. Questa è una carenza del Consiglio e dei singoli gruppi consiliari. A volte si sentono lamentele su singoli provvedimenti presi per i quali, si dice, “non c’è stato sufficiente dibattito”. Ma il livello del dibattito dipende dalla applicazione dei singoli consiglieri. Spesso si tratta di questioni complesse che necessitano studio, preparazione. È molto più facile parlare della situazione in Iran…
Il sindaco Mismetti, nel forum già ricordato, ha anche lamentato una mancanza di percorsi di formazione alla politica, questo emerge anche da alcuni dati sociologici recentemente pubblicati, come affronta la politica la questione della formazione della classe dirigente?
Il problema nasce dal mutato rapporto tra i livelli politici istituzionali ed i partiti. Se un tempo le istituzioni erano ostaggio dei partiti che guidavano il comportamento dei singoli, oggi il rapporto si è rovesciato a svantaggio dei partiti e di tutti i luoghi di confronto e formazione politica. Oggi i partiti non sembrano più in grado di proporre, stimolare e verificare il lavoro fatto all’interno delle istituzioni. Questo si riflette sulla selezione e sulla formazione della classe dirigente. Il principio dominante nella scelta dei candidati è la capacità di raccogliere consenso (quanti voti prendi). Ma non sempre il consenso si accompagna alla capacità politica.
La debolezza della forma partitica è un fenomeno praticamente universale in Italia, con una significativa eccezione: la lega. Che cosa c’è da imparare dall’esperienza legista?
È vero che la Lega è stata capace di costruire una struttura partitica a partire da un forte legame con le comunità territoriali, ma lo ha fatto facendo leva sui sentimenti di paura e diffidenza: separazione, esclusione razziale, difesa ad oltranza delle tradizioni localistiche. Con quale messaggio la Lega conquista il suo consenso?
Le vicende di Foligno Nuova, FILS, Mattatoio (per citare solo le questioni più recenti) mettono in luce il nodo del rapporto tra istituzioni e società pubbliche. Anche quando non ci sono problemi di bilancio, emergono questioni relative all’affidamento “politico” di incarichi tecnici e quelle relative alla efficienza delle strutture. Il modello della gestione “diretta” ha, a suo tempo, fallito, quello delle società pubbliche segna il passo, anche quando i servizi sono affidati in appalto a privati, ove possibile (vedi TMC) emergono difficoltà… A quale modello possiamo guardare per una gestione efficiente dei servizi?
Certamente la strada della gestione diretta dei servizi è ormai impraticabile (ed anche non auspicabile). C’è invece un problema reale di controllo di quanto dato in affidamento. Questa può essere stata una carenza nel recente passato (ad esempio per gli impianti sportivi). Sul piano della scelta degli amministratori delle società partecipate, non mi sembra siano state fatte scelte sconsiderate per premiare unicamente le fedeltà politiche.
Anche per quanto riguarda la FILS, ci sono persone capaci nella gestione, dopodichè dobbiamo considerare anche come nasce quell’esperienza. Nasce per dare una prospettiva a persone impegnate nel periodo del terremoto o a persone socialmente in difficoltà. È chiaro che poi si fa molta fatica a rendere quella azienda efficiente e produttiva…
Ma non sarebbe opportuno far funzionare la FILS e costituire una cooperativa per l’inserimento delle persone in difficoltà? Non è indispensabile che il costo dei servizi sia separato da quello degli ammortizzatori sociali locali?
È vero, ma, stante la situazione attuale, lo sforzo di efficientizzazione che si sta facendo è notevole e va supportato con la fiducia e le risorse necessarie. E, comunque, non è una cosa semplice. Di fronte a situazioni di difficoltà personale, che risposta può dare una amministrazione… vai all’ufficio di collocamento? Si cerca di dare una risposta…
Altra questione è quella del privilegio. Perché, non possiamo negarlo, esiste una opacità del potere, ovverosia la possibilità di ottenere, in conseguenza delle conoscenze o del ruolo ricoperto, quanto ad altri non è consentito. E questo ha dei riflessi anche sui meccanismi di raccolta e di gestione del consenso. Nel nostro paese è largamente diffusa l’idea che per ottenere la soluzione di un problema non bisogna passare attraverso provvedimenti di carattere generale, ma tramite conoscenze individuali. Questo ha generato anche forme di impudenza, delle quali abbiamo anche letto e sentito…
Ma come si esce da questo rapporto perverso tra cittadini e potere politico?
In tutta questa questione non c’è solo la responsabilità di chi cerca il consenso, ma anche quella di chi condiziona l’espressione del proprio consenso all’ottenimento di un favore. Il cambiamento non è soltanto compito della politica, anche se la politica ha le principali responsabilità. La strada è quella di mettere le esigenze dell’intera collettività al primo posto. Mi rendo conto che l’enunciazione è più facile della realizzazione pratica…
Quello che più mi ha colpito nelle recenti questioni giudiziarie, è stato quanto è avvenuto rispetto alle primarie del Partito Democratico. Quello che avrebbe dovuto essere il momento di massima trasparenza di una forza politica, è stato inquinato dal massimo della commistione tra consenso e favore! La politica ha anteposto i propri interessi a quelli della collettività. È stata compiuta in questa occasione una grande opera di diseducazione.
Ciò avviene anche perché i cittadini sono costretti ad elemosinare come favori i propri diritti di cittadinanza…
Credo che questo dipenda anche da un ritardo culturale del nostro paese. L’approccio comune alla sfera pubblica è del tipo: con chi posso parlare, chi conosco? Certo è che se è opaca la gestione del potere solo chi è in una condizione di privilegio ottiene quanto gli spetta, gli altri annaspano… D’altronde, se nelle classifica internazionali l’Italia sta dopo il Burkina Fasu in quanto a livelli di corruzione, vuol dire che ci troviamo di fronte ad un problema radicato. Per superarlo occorre lavorare per una maggiore selezione della classe politica, processo al quale deve contribuire anche il cittadino che deve abituarsi a scegliere in ottica generale piuttosto che di personale tornaconto.
© Gazzetta di Foligno – VILLELMO BARTOLINI