Una storia di famiglia
Il Cardinal Bagnasco, in occasione della solenne apertura dell’Anno Mariano, ha definito una storia di famiglia quella tra la Vergine e la città di Foligno. Verrebbe quasi da pensare che questa storia appartenga ad uno degli infiniti capitoli di quel racconto d’amore che intercorre fra Dio e l’uomo, tra il Padre e i suoi figli, quel racconto vincente ed avvincente che si chiama fede. È chiaro che ogni realtà, sia essa più strettamente paesana come cittadina, può a buon diritto avocare a sé una speciale dedicazione alla Vergine. I titoli più diversi e sorprendenti – è ancora dalle parole del Cardinale che attingo alla lettera – con i quali Maria è onorata, attestano del resto una profondità così radicata del culto mariano, da rappresentare un tessuto connettivo imprescindibile delle nostre stesse identità sociali. E tuttavia, se la devozione non torna ad interrogarsi sul suo significato autentico, che è quello di donarsi, anche il contesto sociale nel quale essa intende esprimersi va incontro ad un’involuzione: la devozione alla Madonna non può abitare la periferia innocua di un mondo che ha tutto l’interesse ad onorare a distanza, marginalmente, con superficialità, per tradizione. Scriveva San Tommaso che la vera devozione è “donazione pronta e completa di tutto se stesso”: mi chiedo se Foligno – città della Vergine – abbia davvero fatto dono di sé a Maria, perché, se così fosse, allora dovrebbe essere conformata a Lei, abbandonata in Lei, votata a Lei nell’accoglienza del forestiero, nel rispetto dei diritti di ciascuna persona, nella sollecitudine rispetto al povero, nelle risposte eque, proporzionate e socialmente giuste ai bisogni degli individui. Se così non fosse, il titolo soave e fragrante di città della Vergine sarebbe nient’altro che titolo di atroce condanna. Bisogna riuscire a riflettere con serietà e silenzio sul fatto che l’avvento del Regno di Dio nelle anime passa attraverso l’amore materno di Maria, il che significa (ancor più per una città dedicata alla Madonna) che o siamo – come diceva San Massimiliano Kolbe – “proprietà, strumenti, cose fra le Sue mani”, oppure, semplicemente, non siamo. Ho pensato che proprio questo richiamo all’essere per l’Amore fosse sotteso alle parole che, nella serata di sabato 25 Maggio, abbiamo ricevuto in dono dal Cardinal Betori, quando ha parlato del mistero dell’Amore trinitario. A ben considerare le sottili ed ambigue proposte del mondo, tutto sembrerebbe conformarsi ad un essere per l’amore egoistico, ad un narcisismo individuale che è solamente un vero e profondo male ontologico (per restare nell’alveo lessicale delle riflessioni del Cardinal Betori, che parlava di Logos), un male tanto virulento che non annulla lo sguardo sull’altro, ma che ne fa uno sguardo cagnesco. Allora la verità è che siamo chiamati a vivere e ad amare Maria da figli, non da addobbatori: nel cuore di Maria – ha detto il Cardinal Bagnasco – ognuno trova con assoluta certezza l’amore che Dio ha per noi. E l’amore che Dio ha per noi è l’origine dell’amore che noi siamo chiamati ad avere per i fratelli: se questo manca, si sfalda anche ogni devozione e si crea il peccato, che è anche un peccato sociale, fomentatore di divisioni e parzialità. Una città che lo tollerasse, disgusterebbe la Madonna. Spiegava al popolo San Giuseppe Cafasso: “Più di tutto vi raccomando di non disgustare la Madonna; e vi è una cosa sola che la disgusta: il peccato”.
© Gazzetta di Foligno – GUGLIELMO TINI