“Infrangibile fragilità”
Questa è la didascalia che quest’anno pongo accanto alla mangiatoia del presepio che sono solito allestire in casa ogni anno, con grande cura. Per me è sempre stato, fin da bambino, un rito solenne, che ho celebrato sempre io, senza lasciare mai la presidenza a nessuno dei miei fratelli! Il tempo forte dell’allestimento era scrupolosamente fissato: dall’Immacolata alla Vigilia di Natale; la pedana era sempre la solita, mentre il drappo che ne ricopriva i bordi poteva variare a seconda della licenza che riuscivo a strappare a mia madre per sottrarle qualche tessuto prezioso. La raccolta del muschio e l’individuazione di qualche tronco adatto a realizzare la capanna segnava l’inizio dell’apertura del cantiere!
Preparare la capanna era per me un gesto quasi “epicletico”: nessuno era ammesso a curiosare, ad eccezione del gatto, che approfittava di qualche momento di assenza o di distrazione per distruggere tutto. Fragile, troppo fragile! Questo era il mio commento e, temendo di non riuscire a convincere il gatto a cercare un altro riparo per le sue frequenti sieste, finivo quasi sempre per dare alla capanna – era solo un’impressione! – la solidità di una casa costruita sulla roccia. In realtà, quando si trattava di predisporre l’illuminazione, spesso assistevo al crollo dell’intera struttura, come casa costruita sulla sabbia! Fragile, fragilissimo! Era il mio impavido giudizio. La nonna – unica ammessa a dare un’occhiata al cantiere in allestimento – mi spronava a fare presto perché la tabella di marcia della Novena di Natale non sopportava indugi! Anche il Parroco – oggi quasi centenario! -, impegnato pure lui ad allestire un presepio di ben più grandi dimensioni, mi avvertiva che il tempo stava per scadere.
La Vigilia di Natale era per me – e lo è tuttora! – un giorno solennissimo, consacrato a spolverare le statue di buon mattino, prima di metterle al posto ritenuto più idoneo, costringendole a fare lunghe marce e ripetuti spostamenti per giungere alla meta che il mio sguardo assegnava a ciascuna di esse in modo insindacabile. Anche il gatto, forse impressionato da quelle figure, sembrava ormai deciso a non invadere più il campo. L’ultimo atto era riservato a “deporre” con venerazione nel presepio le statue raffiguranti Maria, Giuseppe e il Bambino: ero abituato a compiere questo rito nelle ore che precedevano immediatamente la mezzanotte, rimanendo a lungo in silenzio, senza pensare ad altro, nemmeno ai regali.
Ancor oggi, quando scende la sera della Vigilia di Natale, compio questo rito solenne “tutto solo”, in pensosa adorazione, con gioia grande. Non concedo nulla ai bagliori delle luci dell’albero e nemmeno ai sapori del cenone: rituale dal copione troppo debole – se non fosse per le calorie! -, che non riesce a sottrarmi all’appuntamento fissato dalla liturgia con il profondo silenzio di quella “placida notte” che ha inaugurato il grande mistero dell’Incarnazione del Verbo. Egli, “infrangibile grandezza”, è diventato fragile e, tuttavia, rimane infrangibile. “Infrangibile fragilità”.
+ Gualtiero Sigismondi