Avvento e speranza
Tempo di Avvento, tempo di attesa. La comunità cristiana, che si prepara al Natale in questi giorni appesantiti dall’incertezza e dalla paura del declino, si chiede quale messaggio dare agli uomini del nostro tempo. Il più urgente è questo: riportare la parola speranza dentro il vocabolario di oggi. Nel secondo dopoguerra la parola speranza è stata a lungo proclamata da politici, filosofi, teologi, maestri del pensiero. Ma oggi tutto si è fatto fluido e debole; si naviga a vista, perché le prospettive sono diventate corte. Di fronte al punto di crisi storica a cui siamo giunti, nessuno ha e neppure dice di avere le soluzioni sicure per i tanti problemi da affrontare. Il mondo deve cambiare – questo lo sappiamo -, ma non sappiamo altrettanto bene dove e come indirizzarlo. La Chiesa, che è nel mondo per la costruzione del Regno di Dio, annuncia che la speranza è il modo cristiano di guardare la storia e che, rivelatesi fallaci le varie ideologie del progresso, nessuna resa all’esistente è ammessa. La speranza cristiana sa che la storia umana è sempre aperta alla novità della salvezza e che la salvezza opera già tra le pieghe e i mutamenti della vicenda umana. Vediamo allora che cosa di originale e di necessario la Chiesa può dare in questo tempo di deficit di speranza, operando sui piani che le sono propri dell’educazione e della testimonianza. La società e lo Stato, oggi più che mai, hanno bisogno di fondamenti che da soli – con le norme soltanto – non riescono a darsi: pensiamo alla carità fraterna, che è molto più della giustizia, e alla solidarietà, che sa guardare al debole non come un peso, ma come una risorsa. Dove fondare, infatti, l’amicizia civica e la cittadinanza solidale, se non sul rispetto della dignità della persona nella sua integralità e in tutte le fasi della vita umana? E sarà mai possibile ricostruire politiche sociali senza far sperimentare ai cittadini nuove reti di mutualità, gratuità e accoglienza? Ma non è forse vero che anche il mercato ha bisogno di presupposti – di etica, di fiducia, di reciprocità – che da solo non è in grado di produrre? E le stesse crisi della famiglia e dell’educazione non si riflettono negativamente sul tessuto sociale? Infine, come è possibile pensare ad una globalizzazione senza un umanesimo capace di rispettare e promuovere l’identità dell’uomo? Certamente l’etica non si afferma “per decreto”, ma oggi è urgente che la politica, la cultura e la scuola si interroghino sulla tenuta del sistema morale della nostra società, forse troppo sfibrato dall’individualismo e responsabile di costi economici e sociali sempre più pesanti. C’è una mentalità che avanza: “tutto ciò che è possibile è lecito” e “tutto ciò che io desidero è bene”. Ma siccome non si vive a compartimenti stagni, è poi difficile passare da una morale radicalmente soggettiva e libertaria sul piano della vita individuale ad una morale della fraternità e della solidarietà sul piano sociale, economico e del lavoro. Senza pensiero critico e senza cultura della solidarietà il futuro è a rischio. La Chiesa di Foligno, che non sta “in panchina”, lo ricorda di continuo. E soprattutto se ne fa carico.
© Gazzetta di Foligno – ANTONIO NIZZI