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Le tre male bestie della politica italiana

Negli anni ’50 Don Luigi Sturzo definiva così lo statalismo, la partitocrazia e l’abuso del denaro pubblico. Le tre male bestie sarebbero state foraggiate da una cultura politica piuttosto diffusa: “È buono solo ciò che è pubblico, è pubblico solo ciò che è statale, è statale solo ciò che può essere preda dei partiti”. E veniamo all’oggi. Soldi pubblici e favori privati, verrebbe da dire. Quaranta Comuni sciolti per infiltrazioni mafiose e cattiva amministrazione. Quasi la metà delle Regioni nel mirino delle procure per spese lievitate a dismisura. Scandali nel Lazio e in Lombardia. Indagini e diversi processi anche in Umbria. Le lancette della storia sembrano essere tornate indietro di vent’anni: dopo tangentopoli, dopo mani pulite, stiamo di nuovo a raccogliere i cocci della malapolitica. Come se questa affondasse le sue radici nel sottosuolo italiano; quasi una sorta di autobiografia della nazione. Oggi la gente comune invoca pulizia, onestà, competenza, attenzione al bene comune, equa ripartizione di costi e benefici. Cresce ogni giorno il numero degli indignati, anche se – diciamocelo con franchezza – tra questi non mancano i clienti che hanno alimentato il sistema delle raccomandazioni, dei favori e dei privilegi. La riluttanza dei partiti alle richieste di rinnovamento sta facendo crescere l’antipolitica, che mette a rischio la democrazia. Sono vent’anni che si parla dei pericoli dell’antipolitica, ma poco o niente è stato fatto per rimuoverla. Contro il dilagare della corruzione, contro la crisi, se non il degrado, delle forze politiche e l’insulsaggine di taluni che le rappresentano, si deve reagire. Occorre una purificazione della politica. Va riproposta con forza la questione morale e, dunque, norme coraggiose sulle candidature dei politici, leggi chiare sull’anticorruzione, regole che aiutino i partiti a evitare i processi degenerativi di cui siamo oggi testimoni sdegnati. Ma la questione morale esige un passo ulteriore da parte delle forze sociali e politiche: il recupero delle nozioni di “bene comune” e di “interesse generale”, nozioni divenute oggi più labili per il prevalere di una cultura e di una legislazione più vigili ai diritti individuali che a quelli comunitari, più attente al soggettivismo etico che alla pratica della solidarietà. Insomma, non possiamo assecondare un’idea debole e scettica della democrazia, condividere l’apatia e il relativismo di chi pensa che una cosa vale l’altra, salvo ciò che colpisce il proprio interesse. La mancanza di concezioni etiche comuni è oggi un pericolo per la tenuta del sistema democratico del paese. È senz’altro l’ostacolo che non permette di ricacciare indietro le tre male bestie che tutti i partiti dicono oggi di volere sconfiggere. Troppi nullafacenti vivono oggi con la politica e grazie alla partitocrazia. Anche in Umbria – manuale Cencelli alla mano – questo fenomeno è stato rilevante. E qui i governi tecnici non bastano. Ci vuole la riforma della politica, a partire da quella dei partiti. La formazione dei gruppi dirigenti – con una nuova etica ed una nuova cultura politica – è la questione oggi ineludibile.

© Gazzetta di Foligno – ANTONIO NIZZI

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