Controcanto: Una, due o nessuna Provincia?
La situazione politica che stiamo vivendo, oltre che della mancata realizzazione della “seconda repubblica”, risente fortemente della profonda crisi economica, produttiva e sociale, che rischia di compromettere lo sviluppo del nostro Paese e l’avvenire delle future generazioni. Impressionante è il debito pubblico, poco razionale la struttura organizzativa dell’amministrazione periferica dello Stato, scarsa l’attenzione al merito e da tempo assente un rinnovamento nelle idee e nelle rappresentanze. Da qui la profonda sfiducia nella capacità della politica di fornire risposte adeguate ai problemi.
Il dibattito sul riordino delle province e sulla futura architettura istituzionale si inserisce in questo contesto. Ciò che stupisce, però, è che anche nella nostra regione si continui a pensare e proporre soluzioni ignorando le difficoltà che hanno drammaticamente investito la nostra comunità e si insista nell’elaborazione di modelli organizzativi e di presenze istituzionali ormai stantii ed inadeguati.
Il superamento delle province, di fatto, è avvenuto già negli anni ’70 con l’introduzione delle regioni nel nostro ordinamento. Oggi, secondo noi, alla luce delle recenti norme che dimezzano le province e le trasformano in enti di secondo livello, risulta anacronistico continuare a restare arroccati su idee superate dai tempi. Le province, oltre ad essere state svuotate di competenze e funzioni (dai prossimi anni, infatti, si potranno occupare solo di edilizia scolastica delle scuole superiori, di viabilità e di polizia ambientale), sono percepite dalla collettività come enti non utili, costosi e distanti dai bisogni dei cittadini. È necessario, quindi, riformare la pubblica amministrazione per ricostruire una società che punti sullo sviluppo, sull’occupazione e sui servizi sociali e sanitari. La conseguenza è il definitivo e tempestivo abbandono di strutture oggi poco utili e dispendiose, lasciando alle regioni i poteri legislativi, di programmazione e di controllo e ai comuni tutte le attività amministrative che, se del caso, potranno esercitare unendosi tra di loro.
Inoltre, nella fase transitoria del previsto riordino delle province, un’unica provincia residua nella nostra regione sarebbe in grado di gestire una parte delle funzioni su una base territoriale coincidente con quella regionale, come peraltro già avviene per alcuni servizi (ad esempio Auri, azienda trasporti, ecc.).
Per questi motivi e per l’obbligo che ha la politica di formulare proposte concrete, l’attuale dibattito sulla riorganizzazione territoriale delle province risulta sterile e persino incomprensibile soprattutto per i cittadini di Foligno che si vedrebbero “trasferiti” nella provincia di Terni insieme a quelli di altri 21 comuni dell’Umbria. Questa proposta che i più non condividono e che comunque dovrebbe essere realmente partecipata dai diretti interessati al “trasloco” e dai loro rappresentanti politici, non può che considerarsi inadeguata, datata e finalizzata alla salvaguardia di idee e rappresentanze istituzionali superate e non più efficaci.
Alessandro Borscia, PD
In un momento di crisi come questo, caratterizzato dalle parole recessione, fallimento e impoverimento, tutti i cittadini sono costretti a fare scelte difficili e rinunce dolorose. Questa situazione, unita ai vergognosi comportamenti di alcuni politici di centro-destra e di centro-sinistra riguardanti la cattiva gestione del denaro pubblico, ci porta ad osservare con maggiore spirito critico le decisioni via via prese dalla classe dirigente. Così, quando il Parlamento si è espresso in termini di riduzione delle Province, dando finalmente ascolto alle insistenti richieste di diminuzione della spesa pubblica, all’interno della Regione dell’Umbria è scoppiata una diatriba tra quanti sostengono l’accorpamento di ben 22 comuni (tra cui Foligno) alla Provincia di Terni (al fine di mantenerla in vita) e quanti invece, come il sottoscritto, ritengono giusta la soppressione di questa in un quadro di ridimensionamento della spesa pubblica e di riordino della Pubblica Amministrazione. Il nostro Sindaco ha fatto intendere chiaramente di essere disponibile a tale annessione, che a mio modo di vedere va contro gli interessi della città, legata com’è da tanto tempo per il lavoro, per gli studi universitari, per le attività economiche e culturali, al capoluogo perugino, che fra l’altro è più vicino e più facilmente raggiungibile della città di Terni. Secondo quanto è emerso negli stati generali svoltisi a Foligno nei giorni scorsi, l’idea di una Regione con una sola provincia non trova ragion d’essere. Su questo punto mi trovo d’accordo, in quanto sono dell’avviso che andrebbero abolite tutte le province, le cui funzioni dovrebbero passare alle Regioni e ai Comuni. Questo è il momento di ridisegnare la Regione Umbria valorizzando i singoli comuni senza sradicarli dalla loro storia ed identità. Non dimentichiamoci, però, che una riforma di queste dimensioni va eventualmente avallata coinvolgendo tutti i cittadini attraverso un referendum popolare e non con iter sbrigativo e quantomeno discutibile. Per quanto mi riguarda, l’unica motivazione di riordino deve porre al centro le esigenze degli abitanti, l’azione delle Istituzioni deve andare verso la salvaguardia dei servizi ai cittadini (tribunali, ospedali, istituti di credito, ecc.) e non va indirizzata al salvataggio delle stesse Istituzioni per il solo scopo di non ridurre le poltrone, in contrasto con quanto richiesto dalla situazione di emergenza in cui ci troviamo, che esige un ridimensionamento delle spese!!! Senza creare allarmismi, credo che siamo alle soglie di una rivoluzione sociale e ritengo che i cittadini abbiano il diritto di veder agire concretamente i loro rappresentanti per il bene comune e non per gli interessi della politica in senso deteriore. Concludo con le parole del Manzoni: “Se si pensasse più a far bene che a star bene si finirebbe tutti a star meglio”.
Riccardo Meloni, PDL