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L’eclisse della politica: ritorneranno mai passione e militanza?

Vent’anni fa tramontava la prima repubblica, il suo sistema, la sua classe politica. Ma quella che è venuta dopo non è stata più efficiente e meno corrotta. Non è stata capace di far fronte alle esigenze del Paese, alla sua grave emergenza economica e ha dovuto affidarsi al governo dei tecnici come ultima spiaggia. Lasciamo stare le scuse della globalizzazione, la congiura dei mercati, lo strapotere in Europa dei paesi più forti, le economie emergenti. L’economia italiana non cresce da troppo tempo e i mercati lo sanno. Il pauroso debito pubblico non permette di rimediare a tale debolezza economica e anche questo i mercati lo sanno. La causa di tutto questo? L’incapacità della politica – tutte le forze politiche senza distinzione e, dunque, le diverse coalizioni che si sono alternate alla guida del Paese – che non ha saputo governare la gravità della situazione economica. Incapace a tal punto da lasciare il testimone al governo Monti, per fargli fare quelle riforme – come lavoro, pensioni, liberalizzazioni – necessarie da anni, richieste anche dalla famosa lettera della Banca Centrale Europea, che i governi di centrodestra e di centrosinistra avrebbero dovuto fare. Questa ritirata strategica rappresenta la sconfitta della politica, il fallimento di un ventennio che pensava di coniugare insieme riformismo e liberalismo. Ma la mentalità riformistica non si è imposta compiutamente a sinistra e la mentalità liberale è rimasta debole a destra. E così, nonostante proclami e promesse, la cultura politica dei gruppi dirigenti è rimasta legata al palo dello statalismo e dell’assistenzialismo, con tutti i privilegi e le posizioni di rendita che ne derivano. E i cittadini pagano: pagano i costi degli apparati amministrativi locali e nazionali, pagano i costi fuori controllo della politica, pagano le promesse elettorali fasulle perché incompatibili con la situazione economica del Paese. La nostra è stata una politica di corto respiro, legata più all’orizzonte breve delle prossime elezioni che all’orizzonte lungo dell’interesse del Paese. Ma una classe dirigente senza più il coraggio delle grandi riforme, senza la capacità di rispondere alle sfide anche a rischio di costi elettorali, continuerà a darci l’Italia che abbiamo: un ordine economico-sociale che frena lo sviluppo, blocca le nuove generazioni, mantiene privilegi e clientele che la classe politica non tocca, dovendosene assicurare l’appoggio elettorale. C’è da sperare che le cose cambino. L’antipolitica non è la risposta, e nemmeno lo spontaneismo piazzaiolo. In passato le forze politiche esprimevano passione e militanza e i loro progetti orientavano l’agire politico; la “base” contava davvero nei partiti e finiva col selezionare i gruppi dirigenti. Storia passata, si dirà. Ma non sarà la politica di oggi, fondata sulla povertà delle idee, il tifo da stadio, l’affarismo e il teatrino televisivo, a portare il Paese fuori dalla crisi e a ridare ai cittadini la fiducia nei partiti. A meno che questi non ritornino ad educare alla politica. E a farla con dignità. Senza la soluzione pilatesca di governi tecnici, pur benemeriti.

© Gazzetta di Foligno – ANTONIO NIZZZI

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