Se San Francesco tornasse in Umbria
In Umbria tutto sembra parlare di San Francesco e il francescanesimo ha lasciato tracce profonde nella storia e nella geografia della regione. Ma c’è il rischio di farne una specie di società per azioni. Vi è stata da noi una componente politica convinta di essere l’erede della corrente francescana e dei suoi valori di umanità, di giustizia e di solidarietà. Nell’esperienza socialista prima e poi in quella ambientalista, per esempio, si è pensato di scorgere la realizzazione del pauperismo francescano e del Cantico delle creature. Anche il giovane Gramsci faceva un accostamento tra il socialismo e il francescanesimo, scorgendo nella rinascita francescana una nuova e ben riuscita unità religiosa tra gli intellettuali e i semplici, tra la Chiesa gerarchica e i movimenti popolari dell’età comunale (chiaro il messaggio: il comunismo come grande religione secolare avrebbe dovuto sostituire i pastori di anime con i propri intellettuali persuasori permanenti in mezzo al popolo). Ma Francesco è popolare ancora oggi, purché non pretenda di scuotere le coscienze più di tanto! Anzi, è più ricercato che mai per dare maggior forza e palcoscenico a personaggi, iniziative e movimenti. È fatto proprio dai pacifisti di Capitini o dai cultori dell’ecologia, dagli artisti o dai sostenitori di quel pensiero debole che tutto stempera e ammorbidisce. Porta anche bene, San Francesco, se la politica, la musica, lo spettacolo e il commercio chiedono – e ottengono – accoglienza e visibilità negli splendidi luoghi delle famiglie francescane di Assisi. Certo, può capitare che lo si lasci fuori dai principi ispiratori dello Statuto regionale, ma è facile farlo rientrare subito nei cieli dell’Umbria dando il suo nome all’aeroporto da cui si aspettano turisti e denari. Verrebbe quasi da pensare che, se Francesco tornasse oggi tra noi, avrebbe molti fans e nessuno gli riderebbe più dietro le spalle prendendolo per pazzo. Incredibile: tanto abbiamo diluito e nascosto la radicalità del suo messaggio evangelico! Ci piace che Francesco sia ammirato, ci resta più difficile fare in modo che sia imitato. E così anche i cristiani – lasciamo perdere ora l’Umbria secolarizzata – rischiano di non prendere sul serio lo spirito di Francesco e le scelte di vita che ne derivano. “Mentre ero sola nella piccola cappella romanica del secolo XII di Santa Maria degli Angeli, incomparabile meraviglia di purezza, in cui san Francesco ha pregato tante volte, qualcosa di più forte di me mi ha obbligato, per la prima volta nella mia vita, ad inginocchiarmi”. Così Simone Weil ci ha raccontato la sua prima esperienza religiosa, quando si sentì costretta all’adorazione per mezzo di un umile gesto di riconoscimento del suo essere sopraffatta da una misteriosa realtà entrata nella sua vita. Senza questo gesto di umiltà e di abbandono fiducioso all’Altissimo, il Discorso della montagna resta incomprensibile e la sua attualizzazione nel messaggio francescano della povertà, della pace e dell’amore un qualcosa che appartiene ai grandi ideali di un passato ridotto ormai a oggetto di pietas e di ammirazione. Che Francesco torni in Umbria a provocarci ancora!
© Gazzetta di Foligno – ANTONIO NIZZI