Il Crocifisso a scuola
La Corte di Strasburgo ci ripensa
Quando la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo mise “fuori legge” il Crocifisso nelle aule delle scuole italiane, accogliendo il ricorso di un genitore veneto, si scatenò sulla stampa nazionale una vera bagarre tra guelfi e ghibellini. Se ne occuparono anche alcune pagine regionali per portare alla ribalta l’intraprendenza di un docente ternano. Ora che la Corte ha cancellato la sentenza di un anno e mezzo fa, la notizia è scivolata via senza troppo rumore. Eppure, c’è una bella lezione di tolleranza e di laicità sulla quale merita riflettere anche a livello locale.
Nella prima sentenza emessa all’unanimità dai sette giudici della corte (presente anche il nostro Vladimiro Zagrebelsky) si affermava che il Crocifisso appeso nelle aule scolastiche è una violazione della libertà dei genitori di educare i figli secondo le loro convinzioni e della libertà di religione degli alunni. In particolare, “lo Stato è tenuto a conformarsi alla neutralità confessionale nell’ambito dell’educazione pubblica perché studenti di tutte le religioni o atei sono obbligati a seguire le lezioni e lo scopo della scuola è di accrescere la capacità degli alunni a pensare criticamente”. Dunque, l’esposizione di un simbolo che può essere ragionevolmente associato al cristianesimo non offrirebbe un buon servizio a quel pluralismo educativo capace di preservare e di far crescere la società democratica. Del tutto diverso, invece, è il tenore della seconda sentenza: non viola i diritti fondamentali della persona (libertà di pensiero, di coscienza e di religione; diritto all’istruzione) lo Stato che intende valorizzare simboli religiosi cari ai sentimenti di un popolo, purché garantisca a tutti la libertà di credere e a nessuno impedisca di esprimersi diversamente. Lo Stato laico, insomma, non vieta e non cancella, ma permette e valorizza. Non impone né una religione, né il vuoto di qualsiasi religione. Laicità non è azzeramento e neppure indifferenza. Laicità non è eliminare dallo spazio pubblico le identità religiose e culturali, ma farle esprimere nella tolleranza propria di una comunità che vuole essere più ampia e aperta, cioè includente e rispettosa delle libertà fondamentali. La seconda sentenza della Corte di Strasburgo, chiarendo il senso della “neutralità confessionale” propria dell’educazione pubblica, concorre a rasserenare gli ambienti scolastici quando, ad esempio, devono decidere sul che fare in occasione delle festività natalizie o pasquali, o su quali segni e manifestazioni di carattere religioso portare l’attenzione degli allievi. Anche da noi il problema è sentito, soprattutto a livello di scuola primaria. La lezione di tolleranza e di laicità che ci viene da Strasburgo è importante: le credenze e le memorie non si eliminano e celebrarle non significa discriminare quanti non le sentono come proprie; la scuola le ricorda e le fa conoscere, ma non le impone. Di più: la scuola permette che anche altri possano liberamente esprimere e far conoscere le proprie credenze e le proprie tradizioni. La scuola offre cultura, non impone conversioni, atee o religiose che siano.
© Gazzetta di Foligno – ANTONIO NIZZI