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L’esorcista

Berlusconi e la scuola pubblica

Non mi dà fastidio che il premier abbia attaccato la scuola pubblica; la demagogia fa parte del rituale del piccolo esorcista e nella scatola di montaggio è indicato come essa s’incastri con la frenesia di dover riconquistare posizioni frastornate da ritmi afro-caraibici. Del resto è evidente il paradosso di una condizione politica più stabile, dopo le forche caudine del 14 dicembre, rispetto invece ad una situazione personale meno rosea e sostanzialmente tormentata da due spade di Damocle, l’una legata al crine di Mills, l’altra al capello fragrante di Citerea. Cose che capitano, da che mondo è mondo, e ognuno si difende come può. E poi c’è sempre il pass, l’ingresso gratuito nel luogo comune, in base al quale tutti – proprio tutti – ritengono di essere esperti di cose di scuola; ingrato mestiere, quello del prof, quasi quanto quello dell’allenatore della nazionale, che ha in Italia milioni di allenatori, con milioni di formazioni vincenti.

Quel che mi dà fastidio è che si parli di valori. Gli insegnanti (della scuola pubblica, s’intende) “inculcano ai ragazzi valori diversi da quelli delle loro famiglie”: così il console al congresso dei Cristiano-Riformisti e visibilio della platea. In questo caso due sono le possibilità (escludendo per gentilezza la probabilità inquietante che talvolta sia una fortuna, per il discente, confrontarsi con valori diversi): il console è stato rimandato in matematica o latino e dunque negli anni è montato un odio rancoroso verso l’innocua categoria docente, oppure sente di dover recuperare credibilità sul fronte caldo di una parte dell’elettorato cattolico, quello che negli ultimi tempi ha affilato lo sguardo e, per dirla alla Manzoni, ha fiutato il vento infido. Se è questo che un leader vuole, questo ha diritto a ricercare, nella stessa misura in cui gli intelletti liberi hanno l’obbligo di non lasciarsi confondere.

Ma non è screditando la scuola pubblica – monumento di autentica civiltà al di là della sua umanissima imperfezione – che si creano le condizioni per un dibattito civile, non è separando e mettendo l’uno contro l’altro i diversi ambiti della società che si favorisce la crescita: così prova a salvarsi soltanto chi sente che non tutto è così saldo come pare. I valori sono un segno troppo alto per essere merce di contrattazione politica, almeno di questo tipo di politica, che tutto è tranne che servizio alla persona. Quella dei valori è una grammatica così esigente ed aristocratica – nel senso etimologico e nobile del termine – che può solfeggiarla soltanto chi, per dirla con Dante, è dotato di mente chiara e affetto puro: gli altri faccian lor arte sott’altro segno! Meglio dunque il male minore: [s]parlare della scuola pubblica, ma così, in modo quotidiano, pacatamente ipocrita, da bar dello sport, come se si snocciolasse una Nazionale e poi tutti a casa. (Per dire: io so fare le orate all’acqua pazza, ma mica vado dicendo di essere un cuoco!).

Gazzetta di Foligno – GUGLIELMO TINI

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