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Imprenditoria Lavoro Famiglia

Il Convegno organizzato dalla Commissione Diocesana per i Problemi Sociali e il Lavoro, Giustizia e Pace, presieduta da Mons. Luigi Filippucci, ha visto un’affluenza ampia e una partecipazione attenta e qualificata.

Don Luigi ha ancora una volta dimostrato il suo specialissimo talento: far uscire la Chiesa dai propri recinti, metterla in comunicazione, aprire finestre di dialogo con la politica, col mondo del lavoro, della cultura, con tutta la società. A rappresentare le istituzioni c’era l’Assessore Maria Frigeri, erano presenti numerosi imprenditori, personale della Umbra Cuscinetti, che ha ospitato il convegno, e tante persone semplicemente interessate a capire di più. Giancarlo Stefanecchia, moderatore della tavola rotonda, ha avuto un bel da fare per tenere i relatori nei tempi stabiliti. Alla fine l’intervento di Mons. Bregantini ha consentito il decollo di prospettiva atteso, quella spinta verso l’alto che si avverte quando, per comprendere le cose della terra, si rivolge lo sguardo verso il cielo.

L’impresa è a-morale?

La Dott.ssa Beatrice Baldaccini, incaricata di fare gli onori di casa, nel suo intervento introduttivo ha tenuto subito a precisare: “primo dovere dell’impresa è fare profitto”. Solo il profitto rende possibile l’investimento che garantisce il lavoro e la possibilità di perseguire altri obiettivi. Sviluppare la collaborazione, premiare i risultati, gestire il patrimonio umano come valore, rispettare l’ambiente, sono strategie che solo il conseguimento dell’utile rende possibili.

Il Professor Roberto Segatori è stato ancor più radicale ed ha sostenuto che l’impresa, nel perseguire il profitto, è a-morale. Il suo muoversi alla ricerca dell’utile si svolge secondo regole che non possono essere ricondotte all’etica! La riprova è che l’economia, se non è “irrigata” di valori e “guidata” dalla politica, non è capace di distribuire a tutti le risorse che è in grado di generare. Spetta quindi alla sfera dei valori, nella quale la Chiesa Cattolica ha un posto essenziale, irrorare di senso la società. La sfera politica, invece, deve svolgere un ruolo di “regolazione”, oggi minato dalla sua squalificazione. Anche la sfera delle relazioni primarie, la famiglia, deve uscire da una certa ambiguità che la pone a volte in conflitto con il mondo esterno. Dentro la famiglia ci si può dimenticare della società, privilegiare l’interesse interno (“basta che sistemo mio figlio”) a scapito del bene comune.

L’Ing. Reno Ortolani ha ricordato, con lucida semplicità, che la guida etica nei comportamenti economici non è un libro difficile, basta ricordarsi del comandamento dell’amore, rispettare la persona come tale, attenersi alle regole, pagare le tasse, vincere la competizione nel mercato con lealtà.

Quali strategie per lo sviluppo?
L’intervento del Dott. Ulderico Sbarra, segretario regionale CISL, è un grido di accusa nei confronti della politica, colpevole di aver inquinato il mercato del lavoro con meccanismi di sostegno artificiale dell’occupazione e di non aver costruito servizi efficienti. Il quadro della situazione umbra descritto da Sbarra è allarmante perché nessuna delle principali criticità della nostra regione è stata affrontata: l’isolamento infrastrutturale e culturale, la frammentazione dell’impresa (il 95% delle imprese umbre ha una media di 5 dipendenti), l’inefficienza della pubblica amministrazione e i salari bassi. Secondo il sindacalista, se non verranno recuperati i grandi motori dell’economia regionale (Merloni, acciaio e chimica), la nostra regione è destinata ad un inevitabile declino, anche perché il mercato delle costruzioni, che ha sostenuto nel recente passato l’economia locale, è ormai sostanzialmente saturo. La preoccupazione cresce se si osservano i dati sui consumi, che sono in diminuzione, e quelli sull’occupazione, che segnalano la difficoltà di ricollocamento per chi esce dal mondo del lavoro e la prospettiva che una grande quota della cassa integrazione si trasformi nei prossimi mesi in disoccupazione. La politica, sottolinea Sbarra, si trova impreparata, priva delle competenze basilari per affrontare una situazione del tutto nuova.

Il professor Angelo Paci ha ricordato il ruolo della scuola, tra famiglia e impresa, mediatrice tra le aspirazioni dei ragazzi e le esigenze del mondo del lavoro. Da parte sua, Marta Rossi, giovane laureanda, ha chiarito che i giovani non si attendono la garanzia di un posto fisso, magari procurato dalla famiglia, ma hanno bisogno di essere incoraggiati anziché tacciati di apatia e immobilismo! Lo stesso fervore che si respira tra i giovani nel mondo del volontariato può riversarsi nella vita economica; è forse questo un fattore di sviluppo da considerare con maggiore lucidità.

La crisi ci ammaestra
L’intervento di Mons. Bregantini si snoda lungo il percorso tracciato dalle domande del giornalista del Centro Televisivo Vaticano Alessandro di Bussolo. L’arcivescovo descrive la crisi come opportunità per recuperare il senso della collaborazione e realizzare la reciprocità che è alla base delle relazioni sociali. Mette in guardia tutti gli operatori dalla tentazione di scivolare nell’eresia del Pelagianesimo (tutto è nelle nostre mani, tutto dipende dalla nostra intelligenza), così come in quella del Giansenismo (non c’è rimedio alla corruzione del mondo e dell’umanità!). La ragione della speranza di poter conciliare ciò che è apparentemente inconciliabile, di poter trovare una sintesi alle tante dialettiche della società, è che in Gesù si è realizzata ed è presente la più alta reciprocità, quella tra uomo e Dio. Passando al piano della concretezza il vescovo ha ricordato l’emblematicità di alcune vicende (caso FIAT) nella definizione dei modelli economici del futuro e che il profitto è frutto delle idee prima che dei contratti di lavoro. Ha anche invitato a non puntare tutte la carte su un’unica grande soluzione. Ha ricordato che per fermare una collina che frana è inutile costruire un muro, bisogna piantare alberi sul suo crinale ed attendere che mettano radici, come dire che bisogna cercare soluzioni “più lunghe dell’immediato e più grandi del presente”.

Ha poi riconosciuto che la politica deve essere purificata e che per farlo bisogna cominciare dai livelli istituzionali più vicini ai cittadini, ad esempio quello dei sindaci, anche attraverso la promozione di figure emblematiche, come quella del sindaco di Pollica Angelo Vassallo, ucciso l’anno scorso dalla camorra.

Il “noi” della speranza
Il saluto finale del Vescovo Gualtiero Sigismondi

La riflessione sui temi economici e sociali ci porta a considerare molti importanti “noi” da costruire: il “noi” tra imprenditori e lavoratori, il “noi” tra lavoro e riposo, il “noi” tra famiglia e società, tra sagrestia e sagrato. Tra i tanti c’è però un “noi” sul quale puntare in modo particolare l’attenzione, il noi della speranza. Per sperare bisogna farlo insieme, non si può sperare da soli e non si può sperare se non con lo sguardo rivolto verso il futuro. La narrazione evangelica dei discepoli di Emmaus ci ricorda che il verbo sperare non si coniuga mai al singolare, né al passato.

© Gazzetta di Foligno – VILLELMO BARTOLINI

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