L’onorario della memoria: perché non condivido le tante proposte di cittadinanza onoraria alla senatrice Liliana Segre
Premesso che un Comune può concedere la cittadinanza onoraria a chi ritenga più opportuno, preposto che questi può rifiutarla qualora non la consideri appropriata per sue ragioni o convinzioni, convenuto che ciascuno possa esprimere al riguardo i pareri più contrastanti, ritengo che il fiorire di cittadinanze onorarie alla senatrice Segre sia un fenomeno ridicolo. Nobilissimo per le intenzioni che lo ispirano, ma ridicolo per i modi e per i tempi che lo accompagnano. Credo che la stessa senatrice si interroghi sul valore reale di questo fenomeno. Penso si chieda quanto contribuisca una cittadinanza onoraria a quella memoria che, giustamente, Lei continua in modo infaticabile a coltivare. Se sentiamo tutti quanti questa ansia di onorare la signora Segre con una cittadinanza, vuol dire, a mio parere, che qualcosa è mancato. Ma non era, già da prima, cittadina onoraria della nostra coscienza civile, come Piero Terracina, Settimia Spizzichino o Nedo Fiano? Come tutti i martiri delle foibe? Come ogni persona la cui dignità sia stata oltraggiata? Non era, da tempo, la senatrice Segre, parte costitutiva ed essenziale della nostra riflessione e del nostro impegno a studiare, ricostruire e tramandare? Perché se non lo fosse stata, avremmo tradito la lucidità rigorosa e spietata di Primo Levi, l’impegno assunto con i versi finali di Se questo è un uomo. Le proposte di cittadinanza onoraria temo nascano sull’onda dell’emozione e del sentimento, cioè i due aspetti dai quali la memoria non trae mai alcun beneficio e per colpa dei quali, certe volte, l’uomo smette perfino di essere tale. Evidentemente, però, ci si sente responsabili di omissione, o migliori di chi ha abitato in precedenza il nostro stesso metro quadrato, e si vorrebbe far entrare chi magari settant’anni prima si cacciò via, aprire porte che restarono chiuse. Si può fare molto meglio di così.
Immagino con imbarazzo quello che la signora Segre possa aver pensato declinando l’offerta dell’amministrazione napoletana. Corto circuito storico-politico di un’amministrazione che fa assessore al Turismo chi tuona contro Israele, tirando fuori il sionismo (il sionismo!) e deriva schizofrenica del medesimo assessore che chiede al sindaco la cittadinanza onoraria per la senatrice Segre. Da cerchio alla testa. Perché si dà la cittadinanza ad uno, ma si nega uno Stato a un popolo intero. E anche questo dovrebbe far riflettere sul vero senso di quanto sta succedendo. Viviamo in un Paese nel quale (credo sia abbastanza pacifico da riconoscere) è impossibile leggere la storia sine ira et studio, ma una domanda andrebbe posta: una cittadinanza onoraria è il massimo che siamo in grado di dare? Altrove cosa fanno? Giorgio Perlasca, Giusto tra le Nazioni, ebbe nel 1989 la cittadinanza onoraria di Israele. Sei anni dopo a Omarska, in Bosnia, tornavano i campi di concentramento; come poi in Corea del Nord. Come poi a Zawiya in Libia. La cittadinanza onoraria è inerte; la memoria non sta ferma un attimo. Per me la cittadinanza onoraria somiglia un po’ al gabbione dell’autovelox. All’inizio tutti rallentano, poi, se capiscono che dentro non c’è niente, passano chi a sessanta, chi a settanta. O centotrenta o centoquaranta. L’Amministrazione folignate proporrà, come pare, la restituzione, alla senatrice Segre, della cittadinanza tolta proprio in questa città ai suoi avi dalla bolla Haebraorum gens sola quondam a Deo dilecta di Pio V, santo, emanata il 26 febbraio 1569. Un’iniziativa della quale è madre, come tutti sanno, la Gazzetta di Foligno (24 novembre 2019, pag. 2) e della quale si è discusso in redazione, con la libertà di pareri diversi, anche contrari, come il mio. Mi chiedo come farà Foligno, ex dominio del Papa Re, a restituire ciò che non ha mai tolto, considerato che la bolla della vergogna non viene, diciamo così, da un palazzo comunale, ma da ben altra sede: santa. Chissà se in Vaticano si stanno muovendo per riconsegnare alla senatrice Segre la cittadinanza violata cinquecento anni fa.
GUGLIELMO TINI
Grandissimo