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Bambinofobia

Baby checking: si chiama così il servizio messo a disposizione da Japan Airlines per i clienti che temono la vicinanza di piccoli, rumorosi, passeggeri in aereo. Prima di prenotare il volo è possibile visionare in anticipo la mappa dei posti; la presenza di passeggeri che viaggiano con minori di 2 anni è evidenziata dall’icona «bambino». Una di quelle notizie che si prestano alla perfezione per essere commentate – come è capitato – durante un pranzo domenicale fra amici: a tavola sei adulti e sei bambini, questi ultimi di età compresa tra i dieci anni e i due mesi.

Una notizia – qualcuno ha osservato – che va benissimo a braccetto con altre di tenore simile, sempre più frequenti e condivise trionfalmente sulle bacheche dei nostri amici di Facebook single e senza prole: “I bambini non possono entrare: aumentano i locali “no kids”; “Il ristorante che non vuole i bambini (e raddoppia i clienti)”; “Bambini sì bambini no: il dilemma che divide i ristoranti”.

Facile immaginare come alcuni di noi abbiano subito manifestato sdegno per qualcosa che ricorda sinistramente un cartello che vietava l’ingresso “ai cani e agli ebrei”.

Fra i genitori però c’è stato anche chi ha sollevato il problema della presenza di ragazzi rumorosi e molesti perché fuori controllo. Una neomamma ha ribattuto che il suo piccolo a volte piange sonoramente per motivi che (a due mesi) prescindono dall’educazione e che molto hanno a che fare con fame, sonno, coliche gassose e chissà cos’altro. Qualcuno ha aggiunto la terrificante esperienza in pizzeria con i propri bambini vicino a una cena di classe: “Perché allora non vietare l’ingresso a tavolate di tredicenni?”. La risposta, ovvio immaginarlo, ha tirato in ballo parole desuete ai più quali: tolleranza, empatia, buonsenso. Parolacce, insomma.

Un commensale si è chiesto se precludere la presenza di esseri umani (i bambini nel caso specifico) in un locale pubblico sia lecito. La risposta è no: il Regolamento di attuazione del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza all’articolo 187 recita: “Salvo quanto dispongono gli articoli 689 e 691 del codice penale (somministrazione di bevande alcoliche a minori di 16 anni o a infermi di mente; oppure a persone in stato di manifesta ubriachezza) gli esercenti non possono, senza un legittimo motivo, rifiutare le prestazioni del proprio esercizio a chiunque le domandi e ne corrisponda il prezzo”.

Oltre i cavilli legali su questa faccenda della “bambinofobia” emerge qualcosa di molto più complesso. Collegato alla difficoltà dell’educare, del rapportarsi ai piccoli, di stare al loro passo, di impegnare ogni energia verso di loro. Una faccenda che – temo – tanto abbia a che fare anche con i tablet accesi davanti ai nostri piccoli nei locali pubblici; con i ristoranti ‘a tema’ muniti di recinto/gonfiabili/vasca delle palline dove lanciare il pargolo appena arrivati. Spesso a mettere in un cantuccio, zittire, “neutralizzare” i bambini sono i genitori, che non vedono l’ora di metterli in stand-by. Figuriamoci il loro vicino di posto in aereo.

FEDERICA MENGHINELLA

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