La caduta degli angeli
Scambio qualche battuta con una golosa cronista locale alle prese con un maritozzo di Pizzoni. Ogni riferimento al candidato è puramente casuale. Mentre rimango irretito dalla sua avvenenza, la fragranza della panna – sublime e zuccherina – rifa’ terrestre quell’incontro, per mia sventura fondato sul reciproco rispetto amicale. Lei, in punta di lingua, si umetta le rosee labbra oltraggiate dallo zucchero a velo. Poi mi fa solfurea e rilucente: “Perché non scrivi un pezzo sulla lotta all’ultimo sangue dei galli che si terrà domenica prossima”? Le rispondo che non m’appassiona intingere la penna nelle competizioni cruente, soprattutto quando queste mettono difronte due pennuti allevati allo scopo. La giornalista, che con il sottoscritto ha un conto aperto su svariati fronti, sogghigna: “Che fine ingloriosa hai fatto. Nasci diavolo e muori angelo”. Potenza della comunicazione, ad un giornalista basta un attimo a rovesciare il Catechismo della Chiesa Cattolica, parte prima, sezione seconda, capitolo primo, articolo uno, paragrafo sette, secondo comma: “La caduta degli angeli”. Esco rattristato dalla nota pasticceria nella consapevolezza gozzaniana che nelle donne che si nettano le labbra dagli zuccherini (nomina sunt omina) risiede una voce seduttrice che s’oppone a Dio, voce che tenta di farci cadere in errore. E se il mio diavolo si fosse trasferito in lei?
GIOVANNI PICUTI