Campione nel calcio, campione nella vita. A tu per tu con Fabrizio Ravanelli
Una ‘Penna Bianca’ da quasi 300 gol in carriera. Un campione nel calcio, ma anche e soprattutto nella vita. Semplicemente: Fabrizio Ravanelli.
Ciao Fabrizio e grazie per questa intervista. Raccontaci i tuoi inizi: com’è nato il tuo amore per il calcio? Da dove è cominciata la tua carriera col pallone?
Sono nato col sogno di diventare calciatore che mi ha trasmesso mio papà. In casa mia c’era una grande passione per il calcio e la domenica andavamo sempre a vedere il Perugia degli anni ‘70-‘80 in Serie A. A volte restavo a casa per rivedere le partite del Perugia in tv invece che giocare fuori con mio fratello… All’inizio giocavo con bambini più grandi di me, anche se all’epoca non ero molto alto. A 12 anni sono passato nel settore giovanile del Mugnano, paese dove sono nato. Da lì ho fatto la trafila delle giovanili del Perugia fino a 16 anni e pochi mesi dopo sono andato in ritiro con loro in Serie B. Qui è iniziata la mia cavalcata verso l’obiettivo per cui ho cercato di dare tutto me stesso per 365 giorni all’anno, senza ferie. La svolta della mia carriera è stata quando sono passato dal Perugia all’Avellino. Era la prima volta che uscivo fuori da casa e ho trovato grosse difficoltà: avevo 18 anni, non riuscivo ad ambientarmi e faticavo pure a giocare. La mia famiglia mi ha sostenuto, ma a novembre ho fatto un passo indietro e sono andato alla Casertana in Serie C. Le esperienze negative aiutano a crescere e qui ho fatto il primo step per diventare uomo, perchè ho capito cosa volesse dire vivere fuori casa e fare il calciatore a certi livelli. Mi sono rimboccato le maniche e ho iniziato a giocare alla grande. L’anno dopo sono andato alla Reggiana, segnando tre gol all’esordio in Serie B al Verona e, in amichevole, pure al Milan di Sacchi (e dei 3 olandesi), attirando la sua attenzione… e anche quella della Juventus.
Raccontaci come è cominciata l’avventura bianconera.
Boniperti mi voleva a tutti costi per fiancheggiare Baggio, Schillaci e Vialli e una notte d’estate chiamò mio padre dicendo che voleva portarmi alla Juve; mio padre, essendo uomo di paese, pensava fosse uno scherzo… ma era la verità! Voleva capire chi erano i miei genitori, la mia ragazza, quali erano le mie intenzioni e che tipo di ragazzo ero, al di là del giocatore che avevano già visto. La Reggiana, però, mi convocò per farmi firmare col Milan, club con cui aveva grandi rapporti, ma io, da juventino sfegatato, volevo andare alla Juve. Ci fu un braccio di ferro e la Reggiana non mi lasciò andare via. Boniperti allora mi chiamò dicendomi: ‘dai che l’anno prossimo vieni a Torino’. Alla prima di campionato mi ruppi la clavicola e mi crollò il mondo addosso. Ma Boniperti, vista la mia desolazione, mi convocò la settimana dopo a Torino e mi fece firmare un nuovo contratto di 5 anni invece che di 3… Questo era Boniperti e questa era la Juventus. È iniziato tutto così con loro. Poi sono andato all’estero e ho fatto altre esperienze, realizzando la mia cavalcata verso il successo con professionalità e grande dedizione al lavoro.
Che differenze ci sono tra il calcio dei tuoi tempi e quello attuale?
Il calcio di oggi è peggiorato. Credo che il mondo sia totalmente cambiato rispetto al passato: Boniperti è una persona di un’altra epoca, fatta di sacrifici e determinazione. Oggi nella società si cerca sempre di ‘fregare’ la persona che sta davanti, c’è poca professionalità nel lavoro e l’amicizia non esiste più. Basta guardare la televisione per rendersene conto.
Cosa faresti per migliorare il calcio?
Bisogna riportare i valori della vita e la professionalità che c’erano prima, soprattutto nei settori giovanili e nelle scuole calcio. Bisogna far crescere i ragazzi sin da piccoli con principi sani e con un senso di appartenenza forte, facendo loro capire la cultura dello sport e del sacrificio, per renderli consapevoli di cosa significhi diventare campione, che non vuole dire farsi belle foto sui social, andare in giro in Ferrari o ballare in discoteca, ma vivere il sogno in modo consapevole, sacrificando anche la propria giovinezza. Questi valori si sono persi, perché oggi si vuole tutto e subito. La Juventus per me è stata una scuola di vita e mi ha fatto comprendere cosa volesse dire essere uomo e padre di famiglia.
Quanto è stata importante per te la famiglia? E come sei riuscito a conciliarla con la vita da calciatore di livello assoluto?
Tutti i successi che ho ottenuto li ho dovuti ottenere con grandissimi sacrifici e determinazione, perché nessuno mi ha regalato nulla. Mia moglie e miei figli sanno quanto abbiamo faticato. Sembra una cavolata, ma mia moglie ha cresciuto i nostri tre figli da sola, senza l’aiuto dei nostri genitori. Andare con una ragazza di 23 anni in Inghilterra nel 1996, quando l’olio d’oliva lo si comprava solo in farmacia, non era facile… nonostante fossi arrivato come una star, perché avevo appena vinto la Champions League ed ero uno dei migliori attaccanti in Europa. Mia moglie mi ha sempre aiutato, permettendomi di fare il mio lavoro nel miglior modo possibile. Lei e miei figli non mi hanno dato problemi e devo ringraziarli. Se avessi avuto Wanda Nara non sarei riuscito a fare quel che ho fatto…
La vita di oggi è piena di social. Pensi che possano influire nel percorso di crescita di un giovane sportivo?
A volte vedo ragazzi del calcio dilettantistico che si sentono Maradona con poco… Io i social non li sopporto, ho solo Whatsapp che uso per scambiare messaggi e foto. Credo che la mia vita privata debba essere la mia vita privata: non devo dire su Facebook cosa mangio o quando vado a dormire! Per me i social condizionano i giovani calciatori a livello mentale: un messaggio negativo può ferirli e farli giocare senza quell’entusiasmo e quella spensieratezza necessari per fare grandi prestazioni.
Ora ti diletti col ciclismo: com’è nata questa passione?
Dopo aver abbandonato il calcio per un problema di ernia discale alla schiena, il mio dottore mi disse che non avrei più potuto giocare. L’unico sport che potevo fare era il ciclismo, perché in bicicletta si sta sempre in scarico con la schiena. Come tutti gli sport di endurance, poi, il ciclismo produce endorfina e per me è diventata… una ‘droga’. Ho fatto diverse gare di ciclismo, vincendone alcune: sto andando oltre le mie più rosee aspettative. I miei ex compagni mi dicono ‘tu sei pazzo, correvi già tanto a calcio, continui a correre anche in bicicletta’… mi piacciono gli sport di fatica, ero un faticatore anche quando giocavo, anche se ora, con il passare del tempo, la crescita dei figli e gli impegni che aumentano, c’è sempre meno spazio per allenarsi.
Quali punti in comune ci sono tra calcio e ciclismo?
Sicuramente la professionalità. Nel ciclismo, invece, c’è una cosa che nel calcio non c’è: se non sei in giornata non vai né avanti né indietro, mentre nel calcio ti puoi nascondere per tutta la partita e salvarti facendo gol. Per quanto riguarda gli allenamenti, nel calcio c’è più intensità, mentre nel ciclismo si punta più all’endurance. Il calcio è fatto di scatti repentini e di contatto, per cui il dispendio di energie è notevole ed è impossibile giocare una partita al giorno senza avere infortuni. Nel Giro d’Italia, invece, corrono ogni giorno perché si può fare.
Quali sono i ‘segreti’ di Ravanelli per mantenersi in forma?
Sono molto competitivo, non mi piace arrivare dietro nemmeno con gli amici, e per questo mi alleno duramente. In più ho la fortuna che mia moglie cucina in maniera perfetta. Seguiamo una dieta che prevede l’eliminazione dei cairbodrati in favore delle proteine. Siamo molto attenti all’alimentazione: non mangiamo farine bianche né dolci, ci facciamo un bicchiere di vino al giorno, ma niente superalcolici (interviene la moglie: ‘io e te non mangiamo carboidrati, ma i figli la mangiano la pasta…’).
Foligno è orgogliosa di aver ‘partorito’ un giocatore che sta facendo faville alla Juventus e in Nazionale: Leonardo Spinazzola!
L’ho allenato e lo conosco molto bene. Credo che sia uno dei migliori terzini al mondo: per me è gia nella top 10, anche se deve confermarsi a livello internazionale.
Di recente sono accaduti episodi di razzismo e sessismo che hanno coinvolto anche il calcio umbro: come si possono debellare questi fenomeni?
Se non si entra a piedi pari su queste situazioni non si risolverà mai nulla. Sono stato a Singapore di recente e se ti vedono a lanciare una sigaretta fuori dal finestrino, ti arrestano… Quando c’è questa gente che fa ‘buu’ va presa con le strumentazioni che ci sono e non va fatta più entrare allo stadio. Chi è sessista va allontanato dal calcio.
Nella tua vita c’è la fede? Che ruolo aveva nella tua vita da calciatore professionista?
La fede mi ha aiutato tantissimo e penso mi aiuterà per tutto il tempo che Dio mi farà vivere. Mi fa stare in pace con me stesso. Non mi vergogno di dire che tutte le sere ringrazio e prego Dio per avermi dato una splendida famiglia e avermi permesso di coronare i miei sogni. Il calcio non mi permetteva di andare a messa la domenica; oggi ci vado quando posso, non sono un praticante al 100%, però prego tutte le sere, cerco di comportarmi nel miglior modo possibile e provo a dare un’educazione cristiana ai miei figli.
A nome di tutti i lettori juventini della Gazzetta, raccontaci quel gol all’Ajax in finale di Champions League.
Penso sia stato il più grande orgasmo dei miei quasi 51 anni. È indescrivibile segnare in finale di Champions League. Dopo la partita mi hanno raccontato che mio papà si era quasi sentito male: gli era mancato il fiato….
GABRIELE GRIMALDI