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Non è il momento di puntare il dito, ma quello di puntare i piedi

Smarrimento e indignazione. La politica umbra sbattuta in prima pagina ovunque come conseguenza di un’indagine portata avanti dalla Procura di Perugia, in particolare dai sostituti Mario Formisano e Paolo Abbritti, coordinati direttamente dal procuratore capo Luigi De Ficchy, che peraltro andrà in pensione il prossimo 1° giugno.

L’inchiesta

Agli arresti domiciliari sono finiti il segretario regionale del PD Gianpiero Bocci, ex-sottosegretario all’Interno nei governi Letta, Renzi e Gentiloni, il folignate Luca Barberini (PD), assessore alla Salute, coesione sociale e welfare della Regione Umbria, il direttore generale dell’ospedale perugino Emilio Duca e quello amministrativo Maurizio Valorosi, mentre le perquisizioni condotte dalla Guardia di Finanza hanno riguardato anche la governatrice Catiuscia Marini, che risulta iscritta nel registro degli indagati, così come il direttore regionale della sanità Walter Orlandi e altre 33 persone. Abuso d’ufficio, rivelazione del segreto d’ufficio, favoreggiamento e falso sono le accuse ipotizzate dalla Procura. Le procedure di assunzione in una delle aziende sanitarie umbre sarebbero state “condizionate illecitamente” con “l’alterazione dei risultati della selezione – si legge nell’ordinanza del gip di Perugia Valerio D’Andria – avvenuta mediante reiterati reati di rivelazione di segreti d’ufficio, falso ideologico in atto pubblico e abuso d’ufficio compiuti mediante la comunicazione a terzi interessati delle tracce d’esame, e inoltre indirizzando la Commissione in ordine alle valutazioni da assegnare ai candidati”. Nelle carte dell’ordinanza si legge anche di una “alterazione della procedura concorsuale consistita nella manipolazione dell’esito del sorteggio dei componenti della commissione esaminatrice”. La lista degli indagati e dei destinatari di misure cautelari è numerosa e molto probabilmente aumenterà nel corso delle prossime settimane. “Se dovessero intercettarmi rileverebbero cinque reati ogni ora”, diceva meno di un anno fa il direttore generale Emilio Duca intercettato dagli inquirenti, per i quali “nessun concorso finalizzato alla selezione del personale è risultato regolare. Le annotazioni riscontrate sono marcate e gravi”. I pm sono sicuri di aver colto “lo spaccato di un sistema che va avanti da anni, dove ognuno sa cosa deve fare e il fine che ciascuna procedura deve raggiungere”. “Un quadro avvilente di totale condizionamento della sanità pubblica perugina agli interessi privatistici e alle logiche clientelari politiche – proseguono i magistrati – uno stabile e consolidato asservimento agli interessi di una parte della locale classe politica”.

Garantismo e giustizialismo

Questi sommariamente i fatti finora emersi. Come si concluderà questa drammatica pagina per Foligno e per l’Umbria lo deciderà la magistratura, che va lasciata lavorare. A noi spetta solo saper accettare gli esiti di questo lavoro. Per ora sappiamo che Luca Barberini si è autosospeso dal PD e si è dimesso da assessore. A noi non interessa inquisire, processare o emettere sentenze. Non ci fregiamo nemmeno dell’attributo di “garantisti”, lo troviamo superfluo, è più che sufficiente quanto previsto dalla Costituzione italiana e cioè che “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. Infatti nessuno in questo momento può addentrarsi nei meandri giuridici della questione: ci fermiamo alle conseguenze morali e politiche di ciò che è accaduto.

Reazioni social

Dopo un paio di giorni di silenzio assoluto da una parte e di post di giubilo dall’altra, sui social è ricominciato il solito tran tran. Giustizialisti contro garantisti, con rapida e ridicola inversione dei ruoli quando gli arrestati sono della parte avversa. E poi appelli affinché la giustizia faccia il suo corso. Adesso i magistrati potranno lavorare serenamente: il popolo dei social, che una volta riempiva solo le curve dello stadio e i bar di quartiere, ha dato il via libera. In poco più di 24 ore da quando la notizia si è diffusa, sono cominciate le consuete, stucchevoli e becere polarizzazioni, amplificate questa volta dal fatto che si è in piena campagna elettorale. Da una parte si preferisce sorvolare sulle ipotetiche “mele marce” (di fatto già abbandonate al loro destino su un carro divenuto rapidamente scricchiolante perché perdente) e si rimarcano gli alti valori nei quali si crede, purtroppo sempre più ideali e nei fatti sempre meno praticati. Da un’altra parte, sebbene fino all’altro ieri si sia inveito contro la giustizia a orologeria e la magistratura politicizzata, si inneggia a quegli stessi giudici come liberatori del popolo oppresso.

Vox populi, vox Dei

E allora, che fare? Non vogliamo porci al di sopra di tutto e tutti. C’è una verità processuale che emergerà, auguriamo a tutti gli inquisiti di poter provare la propria estraneità, ma ci sono anche delle intercettazioni – forse troppo frettolosamente date in pasto all’opinione pubblica? – che non possono non scandalizzarci. Nell’ordinanza del gip c’è di tutto: voti gonfiati, procedure concorsuali falsate attraverso la consegna delle tracce scritte e in alcuni casi anche delle domande agli orali per nipoti, figli, amanti fino ad arrivare a mettere in palio anche i posti per le categorie protette, guerra senza quartiere contro chi tentava di opporsi al collaudato sistema clientelare (“dare una bastonata forte” alla professoressa che si rifiutava di certificare un’attività come positiva), sesso in cambio di favori, soldi pubblici utilizzati persino per bonificare i locali dalle cimici piazzate dagli inquirenti. Sì, perché secondo l’accusa gli inquisiti, sfruttando la propria posizione di potere, avevano saputo dell’indagine in corso e parlavano con circospezione solo al cellulare, per il resto non esitavano ad affrontare con sfrontatezza tutte le questioni. Ciò che è emerso pare confermare purtroppo il detto “vox populi, vox Dei”: saremo inguaribili ingenuotti, ma speravamo davvero che l’opinione dei comuni mortali non fosse così pericolosamente vicina alla realtà che sta emergendo. Non è il momento di far finta di niente e di minimizzare, perché è vero che la giustizia giunge spesso a conclusioni differenti rispetto a quelle inizialmente prospettate, ma è altrettanto vero che la presidente Marini in conferenza stampa ha detto che se confermata si tratta di una situazione sconcertante e Walter Verini, il deputato scelto da Zingaretti per commissariare il PD dopo gli arresti, ha affermato che “l’inchiesta farà il suo corso, però è chiaro che un sistema di governo che pure ha prodotto risultati positivi e importanti si mostra logoro, chiuso e autoreferenziale”. “Chiedo scusa agli umbri”, ha affermato Antonio Bartolini, neo assessore alla Sanità della Regione Umbria, mentre Giuseppe Ambrosio, il facente funzione di direttore generale dell’Azienda ospedaliera di Perugia, ha assicurato che “l’attività assistenziale dell’ospedale non è minimamente influenzata da quanto accaduto”.

La trave e la pagliuzza

Non si può invocare nemmeno il vangelo e la frase “chi è senza peccato scagli la prima pietra”: non ci sono condanne da emettere, ma c’è da registrare il disvalore sociale di alcune condotte da parte di chi è stato scelto dai cittadini per costruire il bene comune. Forse, se proprio si vuole mettere di mezzo il vangelo, bisognerebbe ricordarsi anche della pagliuzza e della trave: si sbeffeggia senza tregua un politico che sbaglia un congiuntivo e poi si pretende clemenza e comprensione per comportamenti che, stando a quanto emerso finora, sono di una gravità inimmaginabile? Purtroppo il quadro che si va delineando (i magistrati parlano addirittura di “muro di omertà”) è devastante. Ma questa spregiudicatezza da basso impero, il clientelismo sfacciato, l’eccessiva sicurezza di sé non hanno forse impoverito il nostro territorio? La mancanza di alternanza (e, molto spesso, di alternative politiche percorribili) non ha portato a un uso distorto del potere? Un tifoso spera che a vincere sia sempre la stessa squadra, un cittadino maturo e consapevole deve imparare ad accettare che il cambiamento è positivo, evita quantomeno la cancrena.

Questione morale

Mai come oggi torna prepotentemente alla ribalta la questione morale di berlingueriana memoria. Lo Stato e le istituzioni democratiche sono un bene pubblico da preservare con la massima attenzione essendo espressione di una comunità, che le ha ereditate da chi si è sacrificato nel passato. Una credibilità sedimentata nel tempo e che ora rischia di essere spazzata via. Interroghiamo le nostre coscienze. È il momento del “mea culpa” per ognuno di noi, soprattutto perché, è giusto scriverlo in queste pagine, lo spaccato che sembra delinearsi coinvolge anche i cosiddetti “cattolici in politica”, che tanto abbiamo sostenuto e sui quali tanto abbiamo investito in termini di aspettative. Non c’è alcuna volontà di infierire nei confronti di chi, ne siamo certi, sta vivendo dei momenti di sofferenza. Tutt’altro. Manifestiamo vicinanza e solidarietà umana. Ma pensiamo anche a chi legittimamente aveva diritto a occupare un posto di lavoro, a chi affida la propria vita alla sanità pubblica, a chi ritiene che la politica ha il suo linguaggio e le sue regole che però non possono sfociare in un’illegalità diffusa. Aspettare che la giustizia faccia il proprio corso non significa mandare l’etica in vacanza, c’è necessità di un nobile e civile gesto di ribellione. C’è assoluto bisogno di una stagione nuova, senza se e senza ma.

ENRICO PRESILLA

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