download - Copia

Storia semiseria di una famiglia medievale. Quando in gioco c’è la vita “Tradizionale” e “naturale”: due parole che ci piacciono a intermittenza

Sì, lo confesso: sono un po’ medievale, la mia famiglia lo è. È un vecchio difetto: ai miei figli maschi compravamo solo alabarde (con la punta di gomma, s’intende) e armature finte. La gita fuori porta? Ai musei delle torture, ve ne sono parecchi. Alle figlie si leggevano solo poemi epici prima di andare a dormire, una bella trovata perché conciliavano il sonno. Più delle favole di Grimm: anche se a pensarci bene anche in quelle l’ambiente tenebroso c’è spesso, nonostante siano state scritte nel ridente secolo dei Lumi. A testimonianza che questo corteo di Re, Regine e principesse, corredato di castelli e cavalieri, ci insegue ben oltre la modernità. Però, bisogna ammetterlo, il fascino oscuro del medioevo a noi umbri conviene parecchio, visto che fa apprezzare ai turisti, e ultimamente anche alle fiction, i nostri bei centri storici con fontane, cattedrali, collegiate, palazzi pubblici quasi esclusivamente antecedenti alla scoperta dell’America. Che fanatici retrò, questi turisti, e anche le (ormai sparute) coppie che si ostinano a chiedere di sposarsi in antiche pievi, affrescate basiliche, vetuste cappelle.

Tra queste paccottiglie da osservare con razionale distacco recentemente è finita anche la famiglia, quella “tradizionale”, appunto, cioè con uomo, donna, figli. Quella che ha chi scrive, e magari anche chi legge, se non altro come famiglia di provenienza. Quella che compare nero su bianco nella Costituzione, art. 29, con la sottolineatura (a scopo decorativo, sembrerebbe, dopo 70 anni) dell’art. 31 che afferma di agevolare i nuclei numerosi in particolare. (Per “promuovere” intendevano “rimuovere”?) Testo neonato, rispetto ad altri in Europa e nel mondo, partorito dunque in epoca ben posteriore a quelle cavernose. A proposito, “tradizionale” quando si parla di famiglia viene pronunciato a volte con una specie di smorfia, oppure con vergogna quasi sottovoce. Eppure quando si va al ristorante si chiede la sfoglia tirata in casa “quella tradizionale”, la torta sul testo “della tradizione umbra” e il locale con la più lunga “tradizione”. Insomma, la tradizione vende, coccola, rassicura quasi ovunque, meno che quando sono in gioco cose più serie di un pranzetto o dell’artigianato locale. Stessa sorte per l’aggettivo “naturale”: perfetto quando si parla di ambiente, di cosmetici, di alimentazione, persino di parto in opposizione al cesareo. Invece quando si abbina a “famiglia”, quella “società naturale” soggetto di diritti nel testo costituzionale, acquisisce sfumature sinistre che a qualcuno parlano di esclusione o razzismo. Peccato, perché è proprio la stessa natura ad aver stabilito senza sottoporlo a referendum che la vita umana viene solo dall’incontro uomo-donna: avrà ben una ragione, come ne ha nell’imporci il rispetto dei suoi ritmi e dei suoi equilibri la cui minaccia tanto, e a ragione, ci preoccupa.

Ultimamente si sente parlare, è vero, di “utero in affitto” o “gestazione per altri”: fantascienza, quale politico cordialmente ecologista proporrebbe una pratica così innaturale! Se lo facesse rischierebbe di incorrere domani in un giudizio negativo da parte dei posteri (ammesso che ci saranno…), storditi dall’incongruenza logica, tanto più incomprensibile nel secolo XXI, epoca storica finalmente sottratta alle nebbie dell’irrazionalità. Proprio sulla famiglia naturale si è incentrato il Congresso mondiale delle famiglie di Verona, dove avrei voluto essere per sentire con le mie orecchie le esagerate preoccupazioni sul calo demografico, leggere l’elenco dei relatori che non trovo in internet, sapere i fatti prima di saltare ai commenti che, invece, abbondano in rete e in TV tutti quasi uguali (non sarà che hanno fatto un APP di frasi fatte, molte inserite da qualche medievista a giudicare dalla ricorrenza di questo tipo di lessico, con un algoritmo che le mescola?). Almeno per capire se le grida isteriche, i gesti sopra le righe, le proposte di legge indifendibili stavano dentro o fuori la sede del Convegno. Però non ho potuto, come altri, per esigenze familiari, e opterò per la marcia del Movimento per la Vita sabato 27 aprile ad Assisi a cui colgo l’occasione di invitare tutti quelli che hanno a cuore l’umano: evento non strumentalizzabile, a differenza della marcia di domenica 31 marzo. Inoltre è più vicino, più fattibile, con meno difficoltà di organizzare accompagnamenti compulsivi dei figli, vigilanza agli anziani, incombenze legate alla scuola. Credo peraltro che qualcosa di simile sia stato detto a Verona: che proprio la mancata politica familiare (non la Chiesa, né questo o quel partito) relega le donne, in particolare se hanno figli o anziani, dentro le mura domestiche. È difficile partecipare, occuparsi della res publica tra lavatrici, colloqui e la pratica dello slalom fra le offerte speciali per arrivare a fine mese. Sarà anche per questo che i problemi REALI delle donne e delle famiglie varcano così raramente le soglie dei Palazzi? Rimettere al centro la vita nascente, ce lo chiedono anche le mamme mancate per le quali la Chiesa ha parole stupende di perdono, ma che spesso non riescono a gridare il proprio dolore in una cultura che propone come diritto e banalizza proprio quello che le strazia. Rinunciare ad un figlio, nessuno sia costretto a farlo: questo voleva dire Verona innanzitutto. Questo auguro ad ogni concittadina e ad ogni sorella. I banchi di scuola e i negozi vuoti ringrazierebbero.

P.S.: le donne, quelle vere fuori degli slogan, a volte (per necessità o virtù), ai fornelli si divertono pure, e trovano la vita bella: ma rimanga fra noi, evitiamo loro questa pessima figura!

LUCIA TACCHI

0 shares

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Skip to content