I giovani e il lavoro di domani: tante aspettative e poche certezze
In Italia il 25,5% dei ragazzi di età compresa fra 18 e 34 anni appartiene alla categoria dei NEET (Not Engaged in Education, Employment or Training): non studiano, non lavorano, non si formano. Semplicemente abdicano alla possibilità di costruire il proprio futuro. Il nostro Paese (dati Eurostat) è terzultimo dopo la Macedonia del Nord (32,5) e la Turchia (29,1) in una classifica dove la media europea è invece al 14,5%. Guardiamo ora in casa nostra: l’Istituto Ricerche Economiche e Sociali di Cgil Umbria ci dice che nel 2017 i NEET umbri fra 15 e 29 anni erano il 19,5%. Pensiamo ai nostri figli, ai nostri nipoti: spesso smarriti davanti alla scelta del prossimo indirizzo di studio, scoraggiati davanti a un futuro che li chiama alla produttività e al successo ma del quale non riescono nemmeno ad intravedere i contorni. In questo contesto è cruciale il ruolo della famiglia. Non bastano certo open days e pagelle a dire ai nostri ragazzi cosa potranno fare della loro vita: la scuola indirizza, ma la famiglia ha il dovere di supportare e affiancare nelle scelte. Non è facile: lo dico da madre. Guardo i miei figli e mi chiedo quale sarà la loro vocazione, quanto sarà difficile saperla riconoscere, accettarla e farla sviluppare. In che modo potrò aiutarli?
Milena Gabanelli in Dataroom, rubrica del Corriere della Sera, dice che il 65% dei bambini che oggi vanno a scuola svolgerà dei lavori che ancora non esistono, come il data scientist. Certo saranno sempre più necessari servizi di cura alla persona ma anche ‘green jobs’ per la gestione e il riciclaggio dei rifiuti, la sostenibilità dei trasporti, la costruzione di reti intelligenti per l’industria mineraria ed estrattiva e nuove tecnologie di costruzione e gestione degli edifici. Ecco perché si parla di jobless society: non una società ‘senza lavoro’ ma con lavori nuovi o tutti da creare. In questo contesto fa riflettere l’esperienza che Renato Cesca, presidente CNA Umbria e fondatore dell’azienda NCM, ha riportato nel convegno organizzato venerdì scorso da don Luigi Filippucci, direttore dell’Ufficio Pastorale per i problemi sociali ed il lavoro all’ITS Umbria Academy che ogni anno ‘sforna’ supertecnici ambitissimi dal mondo del lavoro. Cesca, durante una visita dei ragazzi alla sua azienda, si è sentito dire da una madre: “Lei sarebbe felice se suo figlio volesse fare l’operaio?”. Subito ho pensato ai pomeriggi frenetici dei nostri figli fra musica, inglese, calcio e chissà cos’altro; ho pensato ai loro desideri sepolti sotto montagne di aspettative e, per contro, alla necessità di tempo, tranquillità e sicurezza di cui hanno bisogno per far emergere i propri sogni, osservarli e finalmente dare loro un nome. Ascoltarli, prima di ‘ingaggiarli’: un passaggio fondamentale. Ho riflettuto sull’amore che servirà a noi genitori per accettare le loro scelte, una volta che arriveranno. Se invece di “trascinarsi” fra aule universitarie per anni, studiando in una facoltà ‘ostile’ decisa da mamma e papà, troveranno realizzazione in un mestiere, “nuovo” o “vecchio” che sia, la meta sarà comunque raggiunta. Ben oltre i sogni di successo c’è la misura di se stessi: non è forse questa una delle vie per la felicità?
FEDERICA MENGHINELLA