Di ritorno dal Sinodo dei vescovi
È stato per me un dono immenso prendere parte, come padre sinodale, alla XV Assemblea ordinaria del Sinodo dei vescovi. L’esplorazione, cum Petro et sub Petro, di una delle frontiere più impegnative della vita pastorale – I giovani, la fede e il discernimento vocazionale -, mi ha permesso di fare una forte esperienza di collegialità episcopale. Raccolta nella “grande sala al piano superiore” dell’Aula Paolo VI, all’ombra del Cupolone, l’assemblea sinodale mi ha fatto sentire la polifonia delle lingue che trasmettono l’unica fede e mi ha aiutato a rendermi conto che la Chiesa in Europa è una “provincia” della Cattolicità. Il posto a me assegnato in aula è stato, anch’esso, una sorpresa: accanto a me, di fronte agli occhi, erano seduti i due vescovi provenienti dalla Cina continentale. Alle spalle, in alto, avevo i giovani, i quali potevano osservare una distesa di zucchetti posti a custodia di una moltitudine immensa di capelli bianchi. Su di essi l’alito delle loro visioni ha esercitato la stessa funzione del vento impetuoso e gagliardo di Pentecoste. Gli interventi dei padri sinodali – compresi gli uditori – hanno contribuito a realizzare non un mosaico bensì l’intonaco di un affresco, da dipingere con i colori di ogni lingua, popolo e nazione. Il confronto nei circoli minori, corollario delle congregazioni generali, ha permesso di favorire il dibattito e di ravvivare il dono della fraternità che ha reso possibile stabilire rapporti di amicizia, a tutte le latitudini.
I momenti di pausa, puntualmente cronometrati, hanno visto il Papa immergersi nella folla dei vescovi, da lui attesi, ogni giorno, nell’atrio dell’Aula Paolo VI. Il suo abito bianco, in mezzo a tante vesti filettate, ha manifestato, a suo modo, la precipua funzione del Successore di Pietro: quella di Capo del Collegio episcopale. Lo scambio di battute, a microfoni aperti, con un patriarca orientale ha lasciato intendere che la carità apostolica del ministero petrino è quella di confermare i fratelli nell’unità della fede della Chiesa. “Il Sommo Pontefice non può eleggere i patriarchi”, ha detto scherzosamente uno di loro; “però solo il Vescovo di Roma può crearli cardinali”, ha replicato subito il Papa. Anche i delegati delle altre confessioni cristiane – c’era pure una “pastora” con tanto di stola bianca! – hanno amplificato la gioia di “stare insieme come fratelli”. Uno di loro, un vescovo anglicano proveniente dalla Nigeria, ha sottolineato che lo scioglimento delle calotte polari causa un danno incalcolabile alla terra analogo a quello, irreparabile, che la frattura delle relazioni coniugali provoca nelle nuove generazioni. A margine di questo intervento mi ha colpito quanto mi ha confidato un arcivescovo di una delle più grandi diocesi del Messico, inondata dalla grazia di tanti seminaristi; nel chiedergli la ragione di così grande benedizione egli ha risposto senza indugio: “La solidità della famiglia”.
Raccontare con ordine, uno per uno, gli avvenimenti che si sono compiuti durante l’Assemblea sinodale è un’impresa ardua; nemmeno il documento finale ha la pretesa di presentare orientamenti di “taglia universale”, ma ha la funzione di sollecitare ogni Chiesa particolare ad avviare un processo di rinnovamento della pastorale giovanile. Essa, infatti, se concentrata sulla cultura del come rischia di perdere di vista il perché, cioè l’orientamento; se sbilanciata sulla preposizione semplice per corre il pericolo di dimenticare il con, cioè il fondamento; se assediata dalle iniziative “a pioggia” delle tecniche di animazione, come riuscirà a compiere il passaggio all’irrigazione “a goccia” dei processi di discernimento vocazionale? Una sorta di “peccato originale” della pastorale giovanile è quello di concepirsi come un tavolo separato, imbandito di omogeneizzati, che non aiutano riconoscere che “i sogni degli anziani e le visioni dei giovani accadono insieme” (cf. Gl 3,1).
MONS. GUALTIERO SIGISMONDI