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Ascoltati a Foligno tremila giovani. Le risposte interpretate dal pedagogista Pierpaolo Triani

La diocesi di Foligno si prepara all’Assemblea diocesana che quest’anno, con alle porte il Sinodo sui giovani, avrà per tema l’interrogativo “Chiesa, sei giovane? Interrogati, ci interroghiamo”. Tra marzo e giugno, sono circa tremila gli studenti degli istituti superiori della città che sono stati ascoltati e intervistati dalla pastorale giovanile. I risultati, raccolti con la collaborazione dell’ufficio diocesano per l’Educazione, la Scuola e l’Università, il Coordinamento oratori e il Centro diocesano Vocazionale, sono stati poi sintetizzati dalle suore dei monasteri di clausura di Foligno.

In esclusiva per la “Gazzetta di Foligno”, il pedagogista e docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore Pierpaolo Triani anticipa alcune riflessioni sull’indagine che approfondirà durante l’Assemblea il prossimo 21 settembre, alle 18, all’Auditorium San Domenico.

Professore, che cosa cercano i nostri giovani?

I ragazzi e gli adolescenti intervistati descrivono un mondo giovanile attraversato da una ricerca della felicità. In linea con gli approfondimenti condotti in questi anni, però, la domanda di una pace personale è segnata da una fatica all’apertura sociale.

Come si delinea il rapporto con la fede?

Nei giovani pulsa la vita e pulsano la domanda di senso e la ricerca. C’è in loro, quindi, una presenza e una tensione alla domanda religiosa, nonostante una percentuale dei ragazzi, circa il 20%, si dichiari non credente o non interessato alla tematica.

La Chiesa, secondo lei, è in grado di rispondere a questa ricerca?

In realtà, la domanda religiosa dei ragazzi fa fatica a riconoscere una forma di risposta precisa nella proposta cristiana e nella Chiesa. Certo, questa ricerca trova nella fede cristiana un punto di riferimento importante, ma è vissuta in termini individuali più che di mediazione con la Chiesa.

Come mai? Quali sono gli errori da rimproverare alla Chiesa nei confronti dei giovani?

I ragazzi chiedono alla Chiesa una testimonianza e una coerenza nei valori che professa. Ci sono giovani che hanno domande sulla vita, altri che cercano la felicità. Altri ancora hanno una tensione religiosa: tutti, però, chiedono alla Chiesa e agli adulti credibilità.

Che cosa vuol dire essere un “adulto credibile”?

Non significa essere perfetti. I giovani chiedono adulti innamorati dei valori che hanno scelto per il bene. Per la nostra comunità cristiana, vuol dire essere adulti innamorati del Vangelo. I giovani, infatti, ci rimproverano l’incoerenza valoriale. È importante, certo, che come comunità ecclesiale ci interroghiamo e rinnoviamo sempre un impegno alla coerenza delle scelte di valore che abbiamo fatto. Dobbiamo, però, essere anche capaci di testimoniare loro che è possibile stare dentro i propri limiti, che si può stare nella fatica del vivere. E questo implica la possibilità di sbagliare.

Come si impara ad ascoltare i bisogni più profondi dei giovani?

Ascoltare i giovani è un aspetto non semplice e richiede una serie di attenzioni. La prima è darsi del tempo per ascoltarsi, per far risuonare dentro di sé le parole, i dubbi e le provocazioni che i giovani possono sollevare. Poi bisogna restituire ciò che, a suo tempo, abbiamo ricevuto. L’ascolto non recepisce soltanto, ma è sempre in dialogo, in interazione. Si diventa credibili quando, dopo l’ascolto, l’adulto si dà il tempo di far maturare le domande e restituisce anche le risposte che ne sono maturate nella sua vita. Solo così l’ascolto diventa generativo e virtuoso.

Credibilità e felicità: professore, in che modo la scuola può sostenere gli adolescenti nella crescita e nella ricerca di senso? La scuola pubblica ha un ruolo fondamentale di accompagnamento nella formazione generale della persona. Ha degli strumenti molto forti per aiutare il giovane ad allargare i propri orizzonti culturali, per insegnargli a leggere il mondo, a maturarne una lettura critica e ad assumersi delle responsabilità verso di sé e nei confronti degli altri. La scuola può essere un luogo importante per sensibilizzare gli adolescenti e incontrarli. Ha bisogno, però, di adulti – e ce ne sono molti – che vivano l’azione didattica in una relazione educativa. Sarà poi la comunità cristiana ad accompagnarli, invece, alla pienezza della propria umanità e all’incontro dell’evangelo.

Anche la Chiesa dovrebbe imparare a porsi in maniera diversa con i giovani?

Una questione centrale della vita pastorale è che la Chiesa oggi deve pensarsi su misura delle età e delle diverse situazioni della vita. È importante che si pensi sempre più in maniera differenziata, come una comunità che accoglie tutti, ma che, al suo interno, sa fare proposte adatte alle diverse età e alle diverse esigenze personali. Quando un adolescente finisce il percorso di iniziazione cristiana, può lasciarsi coinvolgere in una proposta forte di formazione o può desiderare un’accoglienza più larga in parrocchia per delle attività da fare insieme. Un territorio, una comunità cristiana, non dovrebbe porsi la questione se scegliere una o un’altra proposta da offrire ai giovani. Dovrebbe saperle tenere insieme entrambe: è questa la capacità di saper presentare proposte differenziate.

Si potrebbe parlare, allora, di una Chiesa più “giovane”?

Una Chiesa “giovane” rinvia a due aspetti. Il primo è il linguaggio. Ai giovani sembra che il modo in cui la Chiesa parla ed elabora i suoi concetti sia molto lontano dalla loro sensibilità. Il secondo è il problema di una Chiesa giovane nel senso che sia capace di vitalità, che non appaia statica e sappia mettersi in discussione, imparando a camminare con i giovani. Non dovrebbe, cioè, porsi solo il problema di come intercettare i giovani, ma di come possa lasciarsi cambiare nelle sue pratiche pastorali, rispetto alle forme istituzionali, accogliendo le sollecitazioni dei giovani.

Come bisognerebbe, allora, rinnovare la pastorale giovanile?

L’aspetto cruciale che dobbiamo tornare a considerare è lo sguardo dei nostri giovani. Come comunità cristiana, possiamo accendere in loro il desiderio. La vita cristiana non normalizza mai la vita, ma la accende. Noi dobbiamo recuperare la dimensione comunicativa che mette in movimento. Dobbiamo spiegare ai giovani che proponiamo azioni forti, che non sono da tutti i giorni, perché il cristianesimo è in grado di alzare la loro vita: non l’abbassa e non la sterilizza mai. Il cristianesimo accende la libertà. Noi dobbiamo donare ai nostri giovani uno sguardo diverso per offrire la possibilità di vivere in profondità.

ANNAMARIA BARTOLINI

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