Non siamo più al verde. Purtroppo
Al Direttore della Gazzetta (e al suo satiresco compare) ho detto che non avrei voluto tornare sul discorso dell’uccisione dei tigli (e dei pini) nel cortile della Carducci. Ma poi ho notato delusione e disappunto nel volto di entrambi e io penso che i due sentimenti non si addicano né ad un satiro diavolesco e spinoso, né a un Direttore comprensivo e saggio. Dunque eccomi qui; e queste parole mi pesano, perché provo smarrimento e frustrazione. Smarrimento perché quei tigli mi mancano come l’acqua può mancare a un fiume, come un nonno può mancare a un nipote; frustrazione perché ero sicuro che, in base alla Legge 10 del 14/01/2013, quei tigli e quei cedri fossero «potenzialmente monumentali», esempio di «maestosità naturalistica» nonché «preciso riferimento ad eventi o memorie rilevanti dal punto di vista storico, culturale, documentario e delle tradizioni locali». Carta canta; legge sentenzia. Verba volant e gli scripta pure. L’obiezione potrebbe essere: ma quegli alberi concordavano con il D.M. 23/10/2014? Avevano un pregio naturalistico legato ad età, dimensione, forma e portamento? Oltre mezzo secolo di eleganza identitaria. E quel certo pregio legato all’architettura vegetale, ce l’avevano? Bastava sostare sotto le cupole per capire il romanico come nessuna wikipedia potrà mai spiegare. E il pregio naturalistico connesso alla rarità botanica? Il tiglio non sarà raro, ma è protetto. Vorrei consolarmi con i dati. Su una superficie totale di territorio comunale pari a 263.765.935 mq, il computo delle superfici verdi è di 678.392 mq. Il nostro comune è da tempo sensibile alla valorizzazione delle aree verdi: è un dato di fatto. Ma la questione è di mentalità individuale e collettiva. Gli alberi della Carducci se ne sono andati nel silenzio. Ecco perché quel giardino è diventato uno spiazzo, un non luogo sfregiato e vilipeso. La scuola che verrà, sarà semplicemente un edificio. Una scuola respira; un edificio non necessariamente. I tigli erano il respiro della vera Carducci, così come altri alberi lo erano per gli orti di Flavio, luogo neoplatonico ora parcheggio, o per gli orti Sorbi, anch’essi declassati a parking in the city. Qualcuno potrà ribattere: una scuola la fanno i ragazzi e i professori, non gli alberi. L’abito non fa il monaco, ma il monaco può fare un bellissimo abito, perché la forma, quando è così sontuosa come il respiro di un albero, precede e fonda il contenuto stesso. Cerco di sbollentare la rabbia, leggendo dal sito del comune: «Gli alberi sono una ricchezza per tutti, indipendentemente dal fatto che questi siano di proprietà privata o pubblica». E insieme al disappunto, divampa una rabbia incontenibile. Provo ad informarmi su chi abbia apposto la propria firma in calce alla motosega, ma è vano. Mi reco presso i Carabinieri Forestali, che affranti mi garantiscono comunque la regolarità incontrovertibile di tutta l’operazione. Provo altrove chiedendo il motivo del taglio: qualcuno addirittura mi dice che i tigli potevano essere ostativi del fotovoltaico (sic). Torno a casa a pezzi. E’ notte fonda. Da quello che per oltre mezzo secolo è stato un polmoncino del centro storico, sale l’inconfondibile essenza resinosa dei pini. Perché un cadavere puzza, ma un albero abbattuto muore profumando, come cosparso di mirra.
GUGLIELMO TINI
Gravissimo, se senza se e senza ma. Scommetto sul fatto chele piante non saranno sostituite. In via Oberdan sei anni or sono hanno espiantato cinque tigli, poi con il rifacimento dei marciapiede hanno lasciato lo spazio per piantarne di nuovi. Ad oggi solo erbacce e feci di cani. Sei anni e più di un articolo sui giornali.