Il triste rigagnolo delle Conce
Quando i Perugini, durante l’assedio del 1253 si resero conto che i Folignati erano più tosti di quello che avevano immaginato, allora si inventarono l’allontanamento dalla città del tratto di fiume che lambiva l’agglomerato urbano, al fine di privare gli opifici e le attività produttive della necessaria energia. Fatto sta che quel lampo di genio sortì in parte il suo effetto, in quanto al tempo stesso realizzò un ulteriore elemento di difesa e ostacolo ai futuri assalti degli stessi Perugini e, comunque, da nord. Fu così che i Folignati decisero che il fiume, in fondo, stava bene dove lo avevano riposizionato i Perugini, ma al tempo stesso bisognava ridare agli opifici cittadini l’energia sottratta. Quindi, impegnando solo una parte del letto dell’antico corso del Topino venne realizzato il Canale dei Molini, che i Folignati chiamarono anche Carbonara e/o Topinello. Il contatto fra l’acqua e la città era diretto, un tempo disegnato dal fiume stesso sul cui argine si adattava il costruito per usarlo al meglio. Finché un giorno l’energia fu tutta di altra fonte, le attività furono delocalizzate e il canale rimase relegato in un ruolo ormai quasi esclusivamente “decorativo”. Eppure, silenzioso e modesto, il canale continuò sempre a regalare un po’ di utilità e un po’ di svago, ora adattandosi a lavatoio, ora, data la copiosità delle acque, consentendo anche una simpatica navigazione di semplici natanti. Poi, ad un certo punto, a qualcuno questo accarezzamento delle acque ai portici delle Conce, forse è sembrato un atto di presunzione se non di arroganza, visto che ormai “non serviva più a niente”. E così fu deciso di farlo mettere “al posto suo!” umiliandolo in un invaso artificiale e privandolo di buona parte di quell’acqua così “prepotente e irriguardosa” nella sua copiosità. Forse “invaso” viene da “invasato”? Fatto si è che il canale, antica testimonianza del transito di un nobile e importante fiume, è ora ridotto a un triste rigagnolo tenuto rispettosamente distante dalle antiche pietre cittadine. Percorrendo ora i portici delle Conce, deserti e silenti come non mai, sembra di udire i rumori cadenzati delle macchine in movimento e il chiacchiericcio delle comari piegate sui lavatoi lungo il canale; tutti fantasmi che si muovono fra il ricordo e il racconto, entrambi sempre più sbiaditi fino alla loro prossima completa estinzione per mancanza di eredi. Sarebbe pertanto auspicabile che quell’acqua, un tempo così utile, ritorni a lambire le antiche pietre mettendo pietosamente fine a quella che ormai somiglia più a una lacrima di nostalgia che scorre sul volto della città che non all’antico e importante canale che attraversa le Conce, ora così chiamate per come sono conciate.
CARLO RAMPIONI