Tra stupore e meraviglia
La colonna sonora del Natale del Signore è quella dello stupore, che coinvolge tutti i personaggi del presepio. Gli angeli sono i primi a contemplare il “cielo aperto” e a intonare il Gloria in excelsis Deo. La melodia di questo inno sveglia i pastori, a notte fonda, e li spinge a recarsi a Betlemme, senza indugio: lo stupore è l’olio che alimenta la lampada del loro pellegrinaggio in quell’alba della mezzanotte. Arrivati a Betlemme i loro occhi fanno la spola tra il Bambino e sua Madre, nel cui cuore verginale lo stupore raggiunge la nota più alta, quella della meraviglia. Vicino a lei, ma in disparte, sta Giuseppe che, con il suo profondo silenzio, prende parte alla polifonia dello stupore. Anche i Magi inseriscono la loro voce, amplificata da una grandissima gioia che, per placare la sete di infinito, li ha messi in cammino, dal lontano Oriente, al chiarore di una stella. Le “fasce” dello stupore avvolgono il Salvatore del mondo, “adagiato in una mangiatoia”, e velano di meraviglia nuova gli occhi di tutti coloro che lo contemplano. La celebrazione liturgica del Natale del Signore viene a ricordarci che senza stupore non possiamo vivere. Lo stupore ha bisogno di semplicità, quella propria dei fanciulli: solo loro, forse, si stupiscono veramente! Senza un cuore semplice, umile e grato, cioè libero, lo stupore non arriva alla sua pienezza che è la meraviglia. Lo stupore, se troppo tiepido, se non lascia la parola alla meraviglia, cede il passo alla curiosità, che fomenta l’invidia e la gelosia, come è accaduto nella sinagoga di Nazareth, prima stazione della Via Crucis di Gesù (cf. Lc 4,28-30). Solo chi sa “vedere con il cuore”, soltanto chi è capace di “sentire con gli occhi” è in grado di desiderare, mantenendo una costante tensione armonica tra stupore e meraviglia. Non ha il coraggio di desiderare chi non solleva lo sguardo verso le stelle, chi non stacca gli occhi da se stesso. Lascia senza fiato la diagnosi fatta dal Signore su Israele: “Il mio popolo è duro a convertirsi: chiamato a guardare in alto, nessuno sa sollevare lo sguardo” (Os 11,7). Solamente chi riesce a meravigliarsi di fronte alla vastità dell’universo è capace di scorgere i dettagli, sa fermarsi di fronte a una lacrima che accarezza il volto di un fratello bisognoso di aiuto, sa accorgersi di una goccia di rugiada che sfiora un filo d’erba. Solo uno sguardo trasfigurato dall’azione dello Spirito santo riesce a vedere l’immensità nel frammento, la ricchezza nella povertà. Il Natale del Signore ci offre l’occasione di sostare davanti al presepio che, nella sua disarmante semplicità, ci invita a custodire e meditare, con meraviglia nuova, il compiersi della pienezza del tempo in cui “l’Eterno incrocia l’istante”. Ciò che rende vivente un presepio non sono i personaggi, ma la fede ardente di chi, contemplando il grande mistero del Verbo fatto carne, sollecita lo stupore al dialogo con la meraviglia. Lo stupore, ispirato dalla gratitudine, porta in dono la meraviglia. E la meraviglia, modulata dalla gioia, lascia la parola al silenzio.
MONS. GUALTIERO SIGISMONDI